Ho aspettato che finisse di telefonare. La vedevo, giovane e agitata con il suo smart phone, ondulante e velocissima nelle parole e con le mani a disegnare cerchi in mezzo ad una pioggia che, di tanto in tanto rimodulava la serata. Aveva l’aria di una ragazza sicura, certa, forte e regalava sguardi con occhi di una donna che sarebbe rimasta sola. Un cuore senza troppe pulsazioni e con troppo rossetto intorno.
Ho aspettato che fischiasse. Troppe auto in doppia fila e troppa confusione. Ma lo intravvedevo parlare e sorridere smanettando con il suo cellulare e non ci provava neppure a riprendere in mano una situazione che poteva essere sua. Non c’era, nelle sue mosse, nessuna passione. Neppure una parola che riscaldasse l’anima. Ho aspettato si fermassero, provassero, almeno per un attimo, a regalare sguardi protesi in altri mondi e in altre situazioni. Niente. Sembrava che passassero sulla vita senza neppure respirare. Ho aspettato, atteso, osservato. Ho provato a non guardare l’orologio con la segreta speranza che il tempo non mi cercasse. Ho messo le mani in tasca. Il foglio c’era. C’era la data, la firma e l’ora. Ho passeggiato a lungo nel viale infinito e teribilmente corto e ho riflettuto a lungo sul tempo e sulla lentezza delle cose. Ho ripercorso quella serata dove ho incontrato molte persone ma non ho visto o parlato con nessuno.
Ho acceso una sigaretta e ho bussato. Ho aspettato, atteso il click del portone e l’ho scrutato mentre lentamente si chiudeva dietro le mie spalle. Ho centellinato tutto e mi son guardato dentro. Ci vuole molto coraggio a ritornare su questi passi. Dietro, in fondo al viale di Buocammino c’è la libertà. Ci vuole molto coraggio a rientrare alla vigilia di Natale. Ma come potevo lasciare solo Mohamed, il giorno della festa più importante per noi cristiani? Lui è musulmano. Ha un’altra festa. Vero. Ma è il mio compagno di camera e non si lascia da solo, in una piccola camera, un compagno di avventure. C’è molta follia nelle mie scelte. Vero. Molta follia. Ma anche molta coerenza. Ho dato la parola. A molte persone. Mohamed compreso. Ecco perché ho deciso di passare in cella con lui il mio Natale. Di rientrare alla vigilia dal permesso premio. Tanto, la fuori sono tutti molto occupati e incredibilmente soli e non hanno un Mohamed con cui sorridere. Non hanno il calore delle piccole cose. Non sanno che Natale, in carcere, ha pochi colori. Ma un calore che riempie gli occhi di speranza. Che Mohamed chiama gocce di pioggia. E, da musulmano, ci inzuppa il panettone.
Giampaolo cassitta