Il mercato, rappresenta, da sempre, nei popoli, la vitalità. Provate a leggere (o rileggere) i pilastri della terra di Ken Follett e comprenderete cosa significa costruire, per il commerciante, quel banco, quell’esposizione. E’ un’arte fatta di piccole cose e di grandi passioni. Colori che si miscelano e si intersecano, si dividono e si ritrovano. Triglie rosse e cozze nere, pomodori maturi vicino a mandarini da un arancione adulto che si sposano con carciofi dal verde intenso. Il mercato, in fondo, è vita, dolcezza, rappresentazione, ostentazione di possibilità, è cultura, storia, è anima.
Poi ci sono le voci. Le ho sempre amate quelle voci. Stridule, baritonali, urla che appesantiscono i silenzi e sconquassano la tranquillità. Voci di uomini e donne che ti chiamano, ti invocano quasi. Una pubblicità mirata, costruita sugli attimi. Perché anche la voce è marketing: ti suggerisce, ti trasporta, ti riporta verso quel bancone perché il pesce è a metà prezzo, tutto fresco, tutto bello, tutto a pochi soldi, venghino signori venghino.
Provate, per un attimo, ad immaginare un mercato come la Vucciria, come San Benedetto a Cagliari, come il mercato civico di Sassari o di Alghero senza nessun rumore. Provate ad immaginare persone che rincorrono i propri silenzi nell’attesa di un acquisto. E pescivendoli con occhi dolci ad esporre i loro prezzi, senza poter parlare. Il mercato acquario. Questo hanno deciso, ieri, quelli della commissione Bilancio di Palazzo Ducale, a Sassari. Hanno riscritto le regole, del 1940 e le hanno riportate al political correct. E si sono inventati il galateo del commerciante.
Hanno scritto (davvero) che: «sarà vietato attirare l’attenzione degli acquirenti con grida o altri sistemi che provochino disturbi agli altri operatori e al pubblico.» Io sono il pubblico. E vado al mercato, principalmente per sentire le voci e ammirare i colori, il dosaggio delle cromature e delle urla. Vado al mercato e aspetto che qualcuno mi chiami, mi dica che il suo è il prezzo migliore, il pesce più fresco, il mare più azzurro. Mi piace questa pubblicità diretta, questo parlare a me e non all’ipotetico cliente. Mi piace questo crogiolarmi nella fantasia di qualcosa che, magari non esiste, ma mi rende partecipe, presente, mi rende vivo.
A Sassari, invece, eliminano le voci. Un po’ come decidere di vietare le canzoni in una radio, i dibattiti in un comizio, le urla in un asilo. Capisco la smania di voler fare qualcosa, ma era davvero necessario mettere il bavaglio a chi vende il pesce? E poi, mi spiegate quali possono essere “gli altri sistemi” ventilati dal nuovo regolamento? L’unica notizia positiva è che il nuovo regolamento debba ancora passare per il consiglio comunale.
Lo dite, per favore, a questi politici da città che il mercato è vita, è incontro, parole, voci, colori? Lo spiegate che nella vita ci sono anche altre cose più importanti di cui occuparci? Lasciatemi, per favore la mia “vucciria” o come si direbbe a Sassari “l’abbulottu” e la possibilità di sorridere tra la musica dei pescivendoli. Antica e forte, in contrasto con tutta quella plastica fredda e acida delle varie città mercato che riportano alla depressione.
Articolo apparso sul quotidiano "la Nuova Sardegna"