E’ passato qualche giorno che è servito per sedimentare molte cose e, soprattutto per provare a dire cose che non siano le stesse abbondantemente utilizzate da tutti. Il tema, seppure difficile e complesso, gira intorno a poche parole: amore, affetto, rispetto, dignità e ascolto. Amore è la parola più complicata da analizzare. Nessuno, credo, ha mai scritto qualcosa di definitivo e vero. Vi sono amori contrastati, ripetitivi, ossessivi, si odia per troppo amore e, a volte, si ama per non odiare. Amore è osservare le rughe del proprio compagno, amarne i difetti, sopportare le contraddizioni. Amore è abbracciare un figlio. In nome di quell’abbraccio non si dovrebbe poter costruire niente di cattivo. Perché in quell’abbraccio c’è l’affetto più sconsiderato e forte che un genitore regala al proprio cucciolo. E i cuccioli si rispettano. Me lo insegnava mio nonno quando giocavo con i suoi cani da caccia. I cuccioli potevano mordere i cani più grandi o rubargli, addirittura qualcosa dal proprio piatto. Avevano diritto a giocare e, in qualche maniera ad “approfittarsene” dei grandi. Il rispetto giunge come dignitoso corollario all’amore e all’affetto. Il rispetto per l’altro è alla base di ogni civiltà. Quando ci accaniamo contro i nostri simili accusandoli di non pensarla come noi, di non pregare come noi, di non vestirsi come noi, di non sorridere come noi, noi manchiamo di rispetto. Siamo un popolo vile. Nello sport si rispetta sempre l’avversario e, seppure può apparire assurdo, anche in guerra vi è rispetto per le vittime e si consentono tregue per poter seppellire degnamente i propri caduti. Chi dice “Lei non sa chi sono io” non ha rispetto per chi ha davanti e di dice “Io sono un ispettore di polizia e lei non è nessuno” non ha un minimo di amor proprio e non ha neppure la coscienza civile che invece, per il mestiere che svolge, dovrebbe non solo avere ma insegnare agli altri. Occorre saper misurare e conoscere la dignità propria per poter pesare e rispettare la dignità degli altri. Questo, in questa triste storia non è stato fatto. Giungo al termine: l’ultima parola è ascolto. Cosa che, ormai, facciamo sempre molto poco. Nessuno ha più la voglia e il tempo di ascoltare gli altri. Sembra quasi che non ce lo possiamo più permettere. E allora i due genitori non hanno saputo ascoltare i silenzi del figlio e si sono presentati davanti ad un giudice con la speranza e la voglia che questo gli desse ragione. Hanno combattuto una guerra con la stupida convinzionei che qualcuno avesse vinto ed invece perdevano tutti, soprattutto il bambino. Il giudice che non ha saputo ascoltare le istanze di un bambino, perché è difficile comprendere i linguaggi dei cuccioli che mordono dolcemente perchè giocano e vorrebbero divertirsi. I cuccioli vivono nel mondo dei cuccioli ed è un’offesa, un errore enorme catapultarli nel pessimo e cattivo mondo dei grandi.
Nessuno, in questa storia si salva. Neppure noi che l’abbiamo passivamente osservata. Dovremmo poter ripartire dalle cose semplici:considerare il punto di vista del cucciolo. Sarebbe tutto dannatamente più facile. Ed invece le leggi e i regolamenti e i gesti sono cose da grandi, che mischiano l’amore con l’odio, l’affetto con l’indifferenza e non regalano spazi alla dignità.
Nessuno, in questa storia si salva. Neppure noi che l’abbiamo passivamente osservata. Dovremmo poter ripartire dalle cose semplici:considerare il punto di vista del cucciolo. Sarebbe tutto dannatamente più facile. Ed invece le leggi e i regolamenti e i gesti sono cose da grandi, che mischiano l’amore con l’odio, l’affetto con l’indifferenza e non regalano spazi alla dignità.