Chi vive nel passato fa i conti quotidianamente con i ricordi. E i cimiteri. Ma le cose che sono accadute hanno vita propria e si tratta soltanto di svegliargli l’anima. E’ anche vero che i morti non tornano ma, come ricordava Josè Arcadio Buendìa in Cent’anni di solitudine, “il fatto è che non sopportiamo il peso della coscienza”. Questo ho sempre pensato davanti ai silenzi assordanti di troppe verità negate, di depistaggi, di non so, di non ricordo di cui è piena la nostra storia recente. Si riparla di aprire le porte ai documenti secretati. Lo ha detto Matteo Renzi e lo aveva promesso, a dire il vero, il governo Monti nel 2012. Fin dal 2007 era stata varata una legge che obbligava i servizi a gestire i propri archivi in maniera trasparente. Poi, più niente. La fila di domande è lunghissima così come quella delle bare che negli anni abbiamo salutato. La strage di piazza fontana del 12 dicembre 1969 che inaugurò la cosiddetta “strategia della tensione”, l’attentato di Brescia, a Piazza della Loggia nel 1974 che provocò la morte di otto persone. La bomba che esplose sul treno Italicus il 4 agosto del 1974: 12 morti. Poi il 2 agosto 1980 la strage più crudele: a Bologna, presso la stazione ci furono 85 morti e 200 feriti. Ogni volta ci siamo guardati attoniti cercando la risposta a domande che sono state poste, riposte, gridate. Nessuna risposta. Non ci sono ancora i volti degli assassini, dei mandanti, di chi per quelle stragi ha lavorato con cattiveria, per un suo preciso tornaconto personale. Ma vorremmo conoscere la verità su altre stragi che hanno dilaniato le nostre coscienze: da quella di via Fani a via Capaci e via D’Amelio, tutte vie che sembrano stazioni di una via crucis tutta italiana, terribilmente atroce e senza nessuna risposta.
La promessa di poter leggere quei documenti “segreti-segretissimi” non porterà certamente alla verità, ma servirà invece per ristabilire un ordine alle cose, agli avvenimenti e alle persone che quegli avvenimenti li hanno creati. Ho scritto due libri su due stragi. La prima, quella di Aldo Moro e del gioco troppo grande per essere gestito solo dalle Brigate Rosse. Non ho mai creduto, infatti, alla precisazione di Renato Curcio quando afferma che “nella storia della Br non c’è mai stata intromissione diretta o indiretta dei servizi segreti o di potenze occulte; ricevemmo delle offerte indirette dai servizi israeliani, ma le rifiutammo”. Non ci ho mai creduto perchè ricordo, ancora oggi, le frasi utilizzate da Henry Kissinger nei confronti di Aldo Moro nel 1974: “lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo paese a collaborare. O la smette di fare questa cosa, o la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere”. La seconda strage di cui mi sono occupato è quella di Bologna. Avevo 21 anni e quelle immagini, quel fumo, quel rumore sordo, quei volti dilaniati me li ricordo molto bene. Una strage infinita, così come i processi, le mille verità e un cestino gonfio di menzogne, di depistaggi, di omissis. Cosa scopriremo che ancora non conosciamo rendendo pubblici gli archivi segreti dello Stato? Magari scopriremo i pasticci, anche in buona fede, nel condurre le indagini. Qualche telex che dirà ai Prefetti di attuare lo sconosciuto e criptico “piano zero”, un piano ben nascosto e presente solo ed esclusivamente nella cassaforte della Prefettura di Sassari. Un piano che nessuno, finora, ha mai svelato. Oppure potremmo cominciare a rimettere i tasselli nei luoghi giusti provando a costruire, come il buon Josè Arcadio Buendìa una macchina della memoria. Un marchingegno che si basava sulla possibilità di ripassare tutte le mattine, e dal principio alla fine, la totalità delle nozioni acquisite nel corso della vita. Ne avremmo davvero bisogno per i nostri quasi cinquant’anni di solitudine. E di silenzi. Il più delle volte complici.