Manconi ci racconta, inoltre, di una scarsa concorrenza nei posti di lavoro – almeno finora – tra italiani e stranieri perché questi ultimi sono stati utilizzati per le mansioni più umili, proprio perché in Italia esiste un sistema produttivo non adeguato e ha bisogno, essenzialmente, di mano d’opera non qualificata, quasi tutta straniera. E’ possibile che questo scenario sia destinato, tra qualche anno, a modificarsi soprattutto se perdurerà la recessione. E’ anche vero che in alcuni casi la convivenza è stata dolorosa con episodi di razzismo eclatante, ma gli episodi di inclusione sociale sono assai più numerosi e tutti ben radicati nel territorio. In realtà Manconi sottolinea la “mala politica nazionale” in contrasto con tutte le buone pratiche esistenti nel sistema locale come, per esempio, il progetto Benénnidas, istituito presso il comune di Sassari dal 2007 che prepara gli aspiranti collaboratori domestici a mansioni di assistenza agli invalidi, agli anziani e ai bambini, oltre che ai lavori di pulizia e di cura della casa. Un progetto diventato “best pratics” e citato, a buon diritto, all’interno del libro. Un libro che chiede e si chiede e accetta molte risposte, accende provocazioni e pone come proposta il permesso-lavoro annuale per garantire il diritto-dovere di un emigrante a cercare una soluzione alla sua richiesta di dignità. Oggi, invece, in Italia, esiste ancora il reato di clandestinità. «A chi sostiene che è un reato esistente in altre nazioni democratiche ricordo sempre che ci sono, nel mondo, undici paesi considerati di democrazia avanzata dove persiste ancora la pena di morte e quindi non è una buona ragione», dice Manconi aggiungendo, subito dopo: «Noi abbiamo cancellato lo Stato di diritto, dove si prevedeva il reato quando c’è un atto che lede terzi o interessi collettivi protetti. Oggi, con questo reato utilizziamo una condizione come quando si condannavo i vagabondi, i giudei. Potremmo, per assurdo, introdurre il reato di povertà.».
Manconi racconta, infine, il dramma dei CIE (centri di identificazione per l’espulsione) centri che lui e Valentina Brinis conoscono molto bene e sanno di trovarsi davanti a delle vere e proprie galere. Ma, decisamente peggiori perché sono dei “Non luoghi” dove esiste il “non tempo” utilizzato solo ed esclusivamente per soddisfare le esigenze fisioligiche basilari: mangiare, dormire, urinare, defecare.
Perché dovremmo aprire le porte ai fratelli immigrati? Perché, come afferma Cécile Kyenge nella prefazione al libro «l’immigrazione non può essere semplicemente osteggiata, né banalmente subita. L’immigrazione va governata. Solo così può diventare una risorsa.» Della risorsa “straniero” chiaramente non se ne discute né in Italia e né tantomeno in Sardegna. Nella campagna elettorale è un tema davvero marginale. Eppure, almeno da queste parti, dovremmo parlarne. Per amore dei nostri tanti emigrati, per le loro sofferenze, le loro sconfitte, le loro umiliazioni subite. Per provare a raccontare il mondo con molti più colori e più occasioni: culturali, spirituali, musicali, storiche. Per raccontare un mondo dove le terre, una volta erano tutte unite. Per raccontare un mondo dove il mare non deve più essere utilizzato per restituire corpi ma come momento di viaggio, di avventura, di scoperta. Di amore.