Il lavoro oltre le sbarre
Le colonie penali un modello, per gli altri detenuti fuori dal carcere c’è soltanto l’inferno e molti delinquono ancora per tornare dentro l carcere annulla, non rieduca, il più delle volte restituisce alla società persone che non hanno né arte né parte, senza famiglia, senza amici, senza una casa e senza un lavoro. Il detenuto, scontata la pena, si sente chiudere alle spalle la pesante porta in ferro della prigione, ha una sacca in mano e nessun posto dove andare. Spesso, delinque immediatamente, per ritrovare un letto e un piatto di pasta. La società civile, sul fronte carceri, ha fallito, almeno quanto la Cirielli, la legge che prevedeva il lavoro all’interno dei penitenziari in modo da reinserire chi ha sbagliato.
IL MIRAGGIO. In realtà, il legislatore non aveva tenuto conto del fatto che le nostre carceri, con rare eccezioni, nessuna, per il momento, in Sardegna, non hanno spazi né attrezzature per far lavorare i reclusi. Fare lo “scopino” o lo “spesino” non è esattamente dare un mestiere a una persona. La realtà è un’altra: i detenuti trascorrono ventidue ore al giorno in cella e quando escono sono incattiviti, spaesati, disperati. Mai reinseriti.
L’ESPERTO. Giampaolo Cassitta è dirigente regionale del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Presidia il suo ufficio, a due passi dal Palazzo di Giustizia di Cagliari, dalle sette del mattino, va via quando è buio, anche d’estate. Alle spalle ha un quadro raffigurante gli imputati del processo del 1901. Dodici facce poco raccomandabili, che farebbero la felicità del Lombroso,quello dei delinquenti nati. «Ma non è così», dice Cassitta. Ogni detenuto può essere recuperato alla vita civile, se lo vuole e se lo si mette in condizione. Il problema è come. Cassitta è categorico: «La Cirielli ha fallito, il carcere non riesce a offrire lavoro. Il nuovo decreto, che prevede pene alternative e il carcere come extrema ratio va nella direzione giusta». Perché il lavoro dopo il carcere riduce la recidiva dell’80%. In Sardegna il vero problema è l’inadeguatezza delle strutture, soprattutto di Buoncammino a Cagliari e San Sebastiano a Sassari. Un problema che sarà risolto con l’apertura dei nuovi istituti di Uta e Bancali. E per fortuna, non c’è sovraffollamento. Al momento, nell’Isola sono 2.084 le persone incarcerate, solo Buoncammino ha un’eccedenza di circa quaranta persone. In Lombardia, per fare un esempio, ci sono novemila carcerati a fronte di seimila posti. In Italia (65.853 detenuti ma con una capienza di 45.568) il problema è drammatico e ha causato decine di richiami dell’Unione Europea. «In Sardegna la situazione è addirittura rosea ma non riusciamo a avviare al lavoro i aetenuti», dice Cassitta, «con le eccezioni del carcere di Alghero e delle colonie penali di Is Arenas, Mamone e Isili».
L’ESPERIMENTO. Alghero è un casa di reclusione a bassissimo indice di pericolosità: su 126 reclusi, 7 studiano grazie a un protocollo d’intesa appena firmato con l’Università di Sassari, uno si è laureato di recente, sessanta si iscriveranno alla Scuola Alberghiera. Poi, potranno sostenere stage all’esterno e svolgere lavori socialmente utili. Nel frattempo, sono attive una tipografia e una falegnameria.
ESEMPI VIRTUOSI. Il fiore all’occhiello del Dipartimento sono le colonie penali. Per il programma “Gale ghiotto - Vale la Pena”, 930 detenuti producono formaggio, carne bovina, suina, ovina e caprina, miele e olio extravergine d’oliva. Il Progetto colonia (2010-2012) ha usufruito di un finanziamento di 2.9 milioni di euro, a fronte di un ricavo di 1,5 milioni. «Un peso ampiamente sostenibile. Reinserire i detenuti ha un costo», spiega Cassitta.
PERSONE IN PRESTITO. Il progetto Gale ghiotto è unico in Italia e rappresenta un barlume di speranza per la popolazione carceraria. Dalla prigione prima o poi si esce e lo Stato, che trattiene “in prestito” queste persone, ha il dovere di restituirle alla società nelle migliori condizioni. E da questo che si misura la civiltà di un Paese.
Ivan Paone – Unione Sarda – domenica 7 luglio 2013
Le colonie penali un modello, per gli altri detenuti fuori dal carcere c’è soltanto l’inferno e molti delinquono ancora per tornare dentro l carcere annulla, non rieduca, il più delle volte restituisce alla società persone che non hanno né arte né parte, senza famiglia, senza amici, senza una casa e senza un lavoro. Il detenuto, scontata la pena, si sente chiudere alle spalle la pesante porta in ferro della prigione, ha una sacca in mano e nessun posto dove andare. Spesso, delinque immediatamente, per ritrovare un letto e un piatto di pasta. La società civile, sul fronte carceri, ha fallito, almeno quanto la Cirielli, la legge che prevedeva il lavoro all’interno dei penitenziari in modo da reinserire chi ha sbagliato.
IL MIRAGGIO. In realtà, il legislatore non aveva tenuto conto del fatto che le nostre carceri, con rare eccezioni, nessuna, per il momento, in Sardegna, non hanno spazi né attrezzature per far lavorare i reclusi. Fare lo “scopino” o lo “spesino” non è esattamente dare un mestiere a una persona. La realtà è un’altra: i detenuti trascorrono ventidue ore al giorno in cella e quando escono sono incattiviti, spaesati, disperati. Mai reinseriti.
L’ESPERTO. Giampaolo Cassitta è dirigente regionale del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Presidia il suo ufficio, a due passi dal Palazzo di Giustizia di Cagliari, dalle sette del mattino, va via quando è buio, anche d’estate. Alle spalle ha un quadro raffigurante gli imputati del processo del 1901. Dodici facce poco raccomandabili, che farebbero la felicità del Lombroso,quello dei delinquenti nati. «Ma non è così», dice Cassitta. Ogni detenuto può essere recuperato alla vita civile, se lo vuole e se lo si mette in condizione. Il problema è come. Cassitta è categorico: «La Cirielli ha fallito, il carcere non riesce a offrire lavoro. Il nuovo decreto, che prevede pene alternative e il carcere come extrema ratio va nella direzione giusta». Perché il lavoro dopo il carcere riduce la recidiva dell’80%. In Sardegna il vero problema è l’inadeguatezza delle strutture, soprattutto di Buoncammino a Cagliari e San Sebastiano a Sassari. Un problema che sarà risolto con l’apertura dei nuovi istituti di Uta e Bancali. E per fortuna, non c’è sovraffollamento. Al momento, nell’Isola sono 2.084 le persone incarcerate, solo Buoncammino ha un’eccedenza di circa quaranta persone. In Lombardia, per fare un esempio, ci sono novemila carcerati a fronte di seimila posti. In Italia (65.853 detenuti ma con una capienza di 45.568) il problema è drammatico e ha causato decine di richiami dell’Unione Europea. «In Sardegna la situazione è addirittura rosea ma non riusciamo a avviare al lavoro i aetenuti», dice Cassitta, «con le eccezioni del carcere di Alghero e delle colonie penali di Is Arenas, Mamone e Isili».
L’ESPERIMENTO. Alghero è un casa di reclusione a bassissimo indice di pericolosità: su 126 reclusi, 7 studiano grazie a un protocollo d’intesa appena firmato con l’Università di Sassari, uno si è laureato di recente, sessanta si iscriveranno alla Scuola Alberghiera. Poi, potranno sostenere stage all’esterno e svolgere lavori socialmente utili. Nel frattempo, sono attive una tipografia e una falegnameria.
ESEMPI VIRTUOSI. Il fiore all’occhiello del Dipartimento sono le colonie penali. Per il programma “Gale ghiotto - Vale la Pena”, 930 detenuti producono formaggio, carne bovina, suina, ovina e caprina, miele e olio extravergine d’oliva. Il Progetto colonia (2010-2012) ha usufruito di un finanziamento di 2.9 milioni di euro, a fronte di un ricavo di 1,5 milioni. «Un peso ampiamente sostenibile. Reinserire i detenuti ha un costo», spiega Cassitta.
PERSONE IN PRESTITO. Il progetto Gale ghiotto è unico in Italia e rappresenta un barlume di speranza per la popolazione carceraria. Dalla prigione prima o poi si esce e lo Stato, che trattiene “in prestito” queste persone, ha il dovere di restituirle alla società nelle migliori condizioni. E da questo che si misura la civiltà di un Paese.
Ivan Paone – Unione Sarda – domenica 7 luglio 2013