Diceva il grandissimo De André: “ Quando si muore si muore soli”. Ho sempre pensato che questa fosse una grandissima verità. Lo pensavo nei miei passaggi tardo adolescenziali, imbottito di Pavese ed Hemingway, lo penso ancora adesso perché è comunque una grande verità. Che necessita di un corollario: “Quando si decide di morire, di togliersi la vita, in quel momento si è terribilmente soli”. Perché, diciamocelo francamente: il suicidio è una scelta, per quanto assoluta, per quanto assurda, per quanto vigliacca, per quanto egoista è comunque una scelta; si recide con tutto e con tutti, si livella la storia, si appianano i ricordi, si decide, con un colpo, di spegnere la luce. Il suicidio è un fatto personale, un gioco tra se stessi, una lotta terribile tra lo sgomento che lasci agli altri, gli amici, i parenti e gli amori e la forza indicibile di essere, per un attimo, padrone della tua vita, di essere l’unico compositore che decide come si conclude la commedia. Morire, in fondo, non ha quasi mai un finale che ognuno di noi sceglie. Può essere melodrammatico, insignificante, eroico, casuale, sfortunato ma quasi mai siamo noi gli sceneggiatori. La nostra vita che, in qualche modo, disegniamo con un certo impegno, pennelliamo con i nostri sogni e le nostre contraddizioni, ha una fine che non scegliamo. E’ l’unico film di cui non conosciamo il finale. E quando arriva non lo possiamo neppure raccontare. Perché allora c’è sempre qualcuno che decide di finire, di concludere questa parentesi, questo passaggio? Cosa sa del dopo? Cosa sa del durante? Cosa passa in quegli attimi? Ci sono spiegazioni che provano a raccontarci medici, psicologici e letterari. Nessuno ha chiaramente una risposta. Quando ci si uccide si è terribilmente soli. Questo è il punto. In carcere, poi, questa scelta è ancora più drammatica, più misteriosa. Si decide così, senza lasciare nessuna traccia della propria scelta. Anzi, sono proprio quelli apparentemente più tranquilli a decidere il passaggio. Ricordo il mio primo impatto con il suicidio. Era il 1985. Un ragazzo fragile e con un sorriso opaco e sua moglie minuta e dolcissima. Aveva parlato con lei e si erano salutati. Al colloquio lui le aveva portato delle margherite raccolte nella diramazione di Campu perdu. Lei, quelle margherite le strinse lungo tutto il viaggio sulla Cantiello. Nessuno poteva immaginare che suo marito aveva deciso di uccidersi. Proprio quel giorno. Mentre lei viaggiava verso Porto Torres. Dopo le margherite. Ecco, ad ogni suicidio in carcere si riapre un’antica ferita e mi appaiono quelle braccia che stringono piccole margherite. Quando ci si abbraccia ci si sente sempre molto vicini, ma non si riesce a misurare il vero calore della vita.
0 Comments
Oggi, ve lo dico subito, non è cosa. Ieri si è ammazzato un detenuto, una brutta storia che erano almeno due anni a Buoncammino che non si ammazzava più nessuno. All’aria si è parlato solo di questo. Chi lo conosceva e chi non lo conosceva, chi lo aveva immaginato e chi già lo sapeva come poteva finire. Io ve lo dico subito: mica si può sapere come muore un uomo. perchè un detenuto è un uomo, perchè anche noi abbiamo il cuore a sinistra, come tutti gli altri, e abbiamo le lacrime e i nostri incazzi e, devo dire, ancora peggio, perchè quando non riesci a buttare fuori le lacrime perchè altrimenti ti prendono per un caghineri che in carcere è cosa di tutti i giorni a prendere per il culo, insomma quando non riesci a piangere che mica lo puoi fare davanti alla cella con i tuoi compagni o davanti a tua moglie ai colloqui, magari quando ci sono i ragazzini. Ma stiamo scherzando? E allora, quando non ce la fai più, perchè quelli sono i momenti brutti te ne vai al cesso e ti fai tutta la faccia a lacrime. Poi ti asciughi e tiri la catena ed esci con una faccia sorridente ma già si vede lontano forte che non è cosa. Insomma, questa storia del suicidio è molto brutta perchè tutti sono tristi: i poliziotti, gli educatori e noi. Noi un po’ di più e gli e lo diciamo all’assistente sociale che si è fatta vedere stamattina che erano due mesi che non passava: “O dottoressa, mi sembra che non vediamo da quando l’Italia aveva passato il turno.” E lei, preparata mi risponde: “Guardi che l’Italia il turno non l’ha passato”. E infatti, gli dico io, “a lo vede che ci ho ragione? Siamo dal 2006 che non ci vediamo. E’ girata e se n’è andata. Ha detto che non è giornata. Figuradinni allora a noi come può essere la giornata. Non ho molto altro da dire, oggi Antonio e Marcello sono zitti tutti il giorno buttati in branda, tra la basca e il vento che entra dalle sbarre. ieri ci siamo divertiti a vedere l’Olanda. Si tifava Messico a dire il vero, tranne Mario chiamato da tutti l’olandese sfatto, perchè ad Amsterdam si faceva anche le canne delle biciclette e mi che non sono poche. Anche tre anni di galera si è fatto in un carcere olandese. Ed è diventato arancione. Non nel senso religioso, ma nel senso che tifa i tulipani. Poi, dopo, ci hanno detto del suicidio e abbiamo spento al tv. Neanche la radio a sentire che il Costarica, quello che ha picchiato l’Italia ha passato il turno. prima di dormire ho pensato: Eh... magari vince il Costarica e così noi abbiamo perso con i campioni del mondo. la vita continua comunque, ho detto a tutti e tutti zitti. oggi a Buoncammino c’è molta tristezza. Ciao a tutti,
A cercarle le parole magari le trovo pure, ma con custa basca a Buoncammino non è cosa. Ci ho ho buttato fuori a Mariolino che era dormito da ieri sera, incazzato perdiu perchè l’italia ha perso e ne è uscita dai mondiali. “O Mariolì “ l’appo nau, “a me la finisci che quelli solo per quel giorno hanno fatto i soldi che noi manco tutto l’anno”. E quindi a me m’indimportada pagu della sconfitta degli italiani. E poi, a dire il vero, noi siamo sardi e il Cagliari ai mondiali non c’è. Solo Ibarbo che gioca con la colombia e Antonello su biu tifa la colombia. Antonello si chiama su biu perchè è il cugino di antonello su mortu, che l’hanno preso a Olbia con un pacco di roba e lui, scimpru, non mette a manetta davanti agli sbirri e corre e non vede un palo e si ci sfracellada tottu. L’hanno raccolto che manco il cane antidroga capiva quale era lui e quale era la coca. Tutto perso e questo già è dispiaciuto un pochettino. Comunque, stamattina a mente tiepida, perchè freddo in galera non ce n’è manco a bastone, ci siamo trovati io Antonino su biu, Mariolino e Francesco sbrindellato, fissato con le moto e con Valentino Rossi, uno che di calcio non ne capisce niente tanto che quando Mariolino poco poco incazzato ha detto che Prandelli ha fatto male a lasciare Pepito Rossi in italia, Francesco ha subito detto che era d’accordo che Valentino era meglio di Balottelli. Unu maccu totalmente imbreagu. A me Balottelli non mi è mai piaciuto, manco quando giocava nell’Inter e mi che sono cagliaritano di nascita e interista di adozione, quando una mia pivella si era innamorata di Bergomi e mi avevo fatto crescere i baffi come lui e mi ero anche comprato la maglia. Poi, una sera mi dice: A ci andiamo al sant’elia che domenica l’inter gioca con il Cagliari? E io amico di tutti gli sconvolts a le potevo dire che non potevo andare nei distinti dalla parte degli ospiti? E lei allora mi ha detto che se l’accompagnavo a tifare Inter me la dava. Mi sono messo un cappello in testa e occhiali scuri e lei ridendo che quasi pioveva e itta cintrana gli occhiali , e io non ti preoccupare e intanto seduti alla gradinata cominciavo la tecnica del polpo ma lei a dire che me la dava solo se l’Inter vinceva. E non vince il Cagliari? Insomma, la pivella non me l’ha data ma sono rimasto interista perché aveva perso con il Cagliari. Comunque, tornando alla partita, e che cosa dobbiamo dire? Parlare ne abbiamo parlato, in galera, tanto, le parole già si sprecano che sembriamo tutti scrittori di romanzi. Adesso tutti a dire del morso a Chiellini, tranne quelli anti juventini che ce ne sono sia al destro che al sinistro contenti perché chiellini già non è molto simpatico. Ed è vero. La cosa più incredibile della partita che sembravano fermi come gli uomini del calcio balilla che abbiamo nella sala socialità. Adesso siamo tutti più tranquilli perché non c’è più l’Italia e possiamo tifare quello che ci piace come io che tifo più Cagliari dell’Inter perché tanto la mia nuova pivella non ne capisce di calcio e fuorigioco, come immobile, cognome che ieri gli stava come un capotto di alta moda. Insomma, io tifo Argentina, Mariolino ha detto che tifa gli olandesi che magari arrivano ancora in finale a perderla torna, Antonello su biu tifa Ibarbo e la Colombia e Francesco ha detto che tifa Germania in onore di Schumacher che è amico di valentino rossi. Boh boh, il sole a Buoncammino a volte scalda troppo le teste. Già vi faccio sapere come continua. Sempre se quelli di sardegna blogger mi danno l’incarico a scrivere. Un filo sottile unisce orrore e normalità (a proposito del triplice omicidio a Motta Visconti)17/6/2014 ARTICOLO APPARSO SULLA PRIMA PAGINA DEL QUOTIDIANO “LA NUOVA SARDEGNA” 17 GIUGNO 2014 - © by Giampaolo Cassitta
Ci sarà pure una linea sottile che unisce tutto e tutto spiega. Ci deve pur essere da qualche parte perché si rischia di rimanere sgomenti dentro un vortice che sembra non finire più, inghiottiti dalle atrocità degli uomini. Solo un mese è trascorso dalla notizia tragica di Tempio, dove ancora tutto è da sedimentare e comprendere, dove una famiglia è stata uccisa, una comunità distrutta, un uomo in carcere in attesa di raggomitolare la propria coscienza. Adesso, in un paesino del milanese, un altro uomo, un altro “normale” ha ucciso la moglie di 38 anni e i suoi due figli: Giulia di cinque anni e Gabriele di 20 mesi. Dopo aver confessato ha dichiarato di volere il massimo della pena. Qualcuno sui social network ha subito commentato: “sarai accontentato”. Eppure due triplici omicidi (e non sono gli unici e non saranno, purtroppo gli ultimi) così apparentemente lontani non possono continuare a rimanere solo nelle pagine di cronaca sui giornali per poi sparire dopo qualche giorno. La comunità deve cominciare a cercarla quella linea sottile che è nascosta nel sottosuolo della propria esistenza. Perché questi sono i nostri prodotti. Nostri e di nessun altro. Non ci sono commistioni con altre culture, non ci sono follie religiose, non ci sono spiegazioni psichiatriche. Tutto questo nasce nella nostra “normalità”. Si è ucciso, probabilmente, per un’automobile e neppure di grosso calibro e valore, si è ucciso perché la donna, sua moglie, la sua compagna rappresentava un intralcio ad un suo futuro di libertà. Fateci caso: in entrambi i casi non c’è la ricerca del castigo, la paure folle di aver compiuto un gesto osceno. In entrambi i casi si assiste alla mancanza assoluta di emozioni: si va a scrutare, come attore non protagonista il luogo del delitto (nel caso di Tempio Pausania) oppure – ed è ancora più atroce – si rimuove totalmente il delitto andando a guardare, con amici in un bar, la partita dell’Italia, gioire dei gol, fare rientro a casa, in quella casa gonfia di sangue rappreso, parlare con la polizia urlando di aver scoperto l’orrendo delitto: il suo. Come un film, come un’orrenda commedia, come un fumetto. Non è cronaca dunque, non è solo cronaca. Non è neppure la trama di un giallo splatter. Questa – dobbiamo provare a dircelo, anche sottovoce – è la vita, la nostra vita. Loro, gli assassini (o presunti tali, posto che nel caso di Tempio Pausania i contorni sono ancora da disegnare) sono seduti sul nostro stesso tavolo e amano le nostre stesse cose, osservano nello stesso nostro modo un mondo che, a quanto pare, non ha gli stessi orizzonti. Dicono la mancanza di valori, eppure in quest’ultimo caso parliamo di un giovane ragazzo, padre attento e premuroso, senza nessun problema apparente che sgozza la moglie e soffoca i figli. Dicono la velocità dei tempi. Una volta il mondo era più riflessivo. Oggi, invece tutto va bruciato in giornata, per poi ricominciare. E’ la tragedia del benessere, dell’avere tutto e subito, del volere tutto e subito, dell’impossibilità di potersi accontentare perché non si è in grado di saper ascoltare il rumore della vita. Ci sarà pure una linea sottile che unisce l’inverosimile che possa, in qualche modo, far incontrare queste parallele apparentemente lontane e indecifrabili. E’ solo una questione legata ai tempi moderni? E’ solo qualcosa di “folle” che non ci appartiene? Quante volte abbiamo urlato e inveito contro l’altro, contro l’orco cattivo che giungeva da lontano, contro lo straniero? Ci sarà pure una linea sottile che unisce l’orrore e la vergogna e quella linea parte proprio da casa nostra, dal nostro orto, dalle nostre famiglie. Adesso sta solo, all’interno della sua ombra nera senza nessuna stratificazione, nera come la notte nera, nera come il buio in cui si è avvolto l’anima. Seduto su una panchina solitaria tra il nulla e il troppo si agita e prova a ripassare gli occhi di chi lo ha visto per l’ultima volta. Perché di questo si tratta: Yara ha visto, Giulia ha visto, Cristina ha visto, Gabriele ha visto e anche a Tempio Giovanni ha visto, Giulia ha visto, Pietro ha visto quel buio torbido avanzare, quei movimenti senza speranze. Lui lo sa, certo, di avere scelto la linea sbagliata, di aver oltrepassato il verosimile, il razionale. Lo sa e prova a disegnare confini inaspettati, prova con pasticciata calma a riannodare la ragione. Ma è solo, terribilmente solo in un buio senza ombre e senza nessuna speranza. Non ha compreso le curve della vita, non le ha sapute prendere e non è riuscito a scalare nessuna marcia. Tutto in fretta, tutto molto in fretta nella discesa verso l’orrore, verso un cunicolo nero senza sogni, nero senza lacrime, nero senza vita. Lui lo sa, lui che ha visto gli occhi degli altri spegnersi, l’ultimo bagliore di bambini e donne e uomini lo sa quanto costa il suo gesto, sa quanto è cattivo il suo muoversi. Lo sa ma non comprende, non riesce a ritornare sull’altra riva. Lui ha deciso di rimuovere gli occhi, di eliminare tutti i colori di un quadro e passare con il suo atroce pennello sulle tracce della vita. Nero come la notte nera, nero come un grembiule senza fiocco, nero come un inferno senza fuoco. Adesso sta solo, all’interno delle sue parole che non riesce a macinare, farina senza mulino, acqua senza fontana. Lui lo sa di essere il più piccolo e il più fragile ma non trova più la strada. E noi con questi volti muti aspettiamo di trovare il varco per cercare uno spiraglio di luce nel nero che non cova speranze.
Oggi in questa galera che sembra un deserto e quando penso a S.Sebastiano mi metto a piangere perchè conoscevo tutto anche i sorighi, abbiamo giocato una partita a calcetto nei passeggi. Sul cemento, che la bagassa loro se cadi finisci subito in infermeria. In ogni caso c’erano due squadre pronte a vincere a tutti i costi: La germania e il Portogallo. Io, Antonio lu tedesco, Mariolino millibrinchi, Francesco la tana e marcellino birretta eravamo la germania. I portoghesi erano invece tre stranieri che non ne conosco bene i nomi e li chiamiamo Alì, Alà e dalialà, Portez detto Cristoforo Colombo e un rumeno un bè fissato con Cristiano Ronaldo e, infatti l’abbiamo chiamato Lu setti. Abbiamo perso di brutto e Marcellino si è tirato a terra tutto incazzato. Non se ne voleva andare dall’aria. Ajò gli ho detto che devi cucinare e lavare i piatti che ti tocca e non fare come Inzaghi chi “candu lu sfiorani pari sempri murendi”. Io, poi ho detto a Cristoforo Colombo che stasera tifo Germania perchè a me i portoghesi mica mi piacciono. Ci siamo lasciati così. Ne abbiamo raccolto a birretta da terra e ci siamo messi in fila, tipo spogliatoio per tornarcene a casa. In cella. Stasera la partita è alle sei, giusto all’ora di sbobba. Perchè in galera, per chi non lo sapesse, è come l’ospedale dove ne hanno tolto il fegato a babbo: alle cinque e mezzo passa il carrello della cena e se ne vuoi bene se no ti arrangi. E noi ci arrangiamo. Cuciniamo per i fatti nostri. Oggi un bè di insalata così ci riempie la pancia e filetti di merluzzo fritti che Birretta li fa davvero un bè bene. Tra questo e le scommesse sulla partita ci siamo seduti. La squadra di calcetto non è la squadra della cella ma abbiamo chiesto la socialità e ce l’hanno data. Adesso ci ascoltano e ci fanno stare più larghi che rispetto a san sebastiano ci sembra di essere all’aeroporto e quasi ci perdiamo. A me i tedeschi mi fazini ischiffu, ma a calcio sono bravi e ho una mia teoria. Se vincono e passano il turno come primi e anche noi arriviamo primi poi, con loro, ci vediamo in semifinale e li castighiamo. Come nel 1970 e nel 2006. Solo che Antonio lu tedescu non li sopporta e lui si chiama così solo perchè è biondo e solo Mariolino millibrinchi mi da un po’ di ragione ma dice che sicuramente il Portogallo è più forte perché lo dice lu setti. “Ascò bello bè,”gli ho detto “mi chi un cristiano ronaldo non può giocare a la sola che non è Mandrake.” Mariolino sorride e dice: “e a te lo ricordi a Mandrake contro la Spagnola? Dezi a zero li ha fatto”. Tutti cominciano a ridere e gli diciamo di smetterla con la coca e le pasticche nascoste. Perché Mariolino è fatto così: tossico perso , si ciuccia le pastiglie davanti all’infermiere, ma solo un pò e poi le sputa e le fa asciugare alla finestra. Poi se ne mette insieme un cinque o sei e se le fa con la coca cola e dopo un pò si mette a letto e comincia a brincare che sembra una cavalletta. Ecco perchè lo chiamiamo millibrinchi. La partita comincia male. Rigore per la Germania e Mueller segna. “Cazzo Antò”, dice Birretta “ma chistu da quando c’era giggi riva continua a segnare”. “Mi che non è lo stesso mì, “ dico io e gli giro con uno schiaffo ai capelli e mi guarda male. Germania uno Portogallo zero. Sentiamo l’urlo di terrore di Lu setti dall’altra camera. Non gira dico io, la perdete. E girami li.... insomma ne buttano uno del Portogallo fuori e poi segna il due a zero la Germania. “Abà comincia la vendetta, “dice Birretta ma si capisce che lo dice così, giusto per parlare, così come in tribunale quando ci stavano condannando e sette anni. Lui si avvicina all’avvocato e dice e cosa facciamo avvocà? Ci prendiamo sette anni? E l’avvocato serio gli dice: “non ti preoccupare, ci vendichiamo in appello”. Nove anni ci hanno dato, la bagassa loro, in appello. Manco finito il pensiero che Mueller fa il tre a zero. Antonio comincia ad incazzarsi davvero: a me chistu Muller non mi piace molto. Alla fine del primo tempo passa l’assistente e ci dice se vogliamo andare alla sala socialità che c’è il televisore perché adesso hanno inventato questa cosa della socialità e che i detenuti devono stare bene. O appuntà, a casa nostra stiamo bene, a lo vuole capire? Birretta lava i piatti e noi ci fumiamo una sigaretta. La cosa che funziona in ogni carcere è la possibilità di fumare sempre e da tutte le parti. Ma secondo gli educatori questa cosa non dura che dobbiamo fare le cose come le fanno fuori. A me mica mi piace questa novità di fare gli educati. Il secondo tempo non ha molta storia e si capisce che i crucchi ne capiscono di calcio. Mi dispiace aver tifato la Germania ma sono davvero forti. Solo che non mi ricordo manco un nome tranne quello che solo a calcio poteva giocare e si chiama Kroos. Fanno subito il quattro a zero tripletta di Muller e tutti a casa. Io penso che ci troviamo in semifinale, Birretta dice che il portogallo già passa, Antonio risponde che a lui i tedeschi gli stanno sulle balle a prescindere e con noi perdono sempre, millibrinchi è stirrigato sul letto e russa alla grande. Adesso ci tocca il telegiornale e le cose della vita. Domani altra partita. Io ho deciso che dobbiamo giocare ai passeggi con quelli della cella sette e otto. Che sono sagome. magari con quelli vinciamo e ci portiamo a casa la stecca di ms. Che male non fa.
Pallone a sbarre (Dal nostro inviato stabile nel carcere di Regina Coeli, Roma – FRANCIA- DONDURAS 3-0)
Diario dei mondiali di calcio – quinta puntata. Mi chiamo Pedro Celachè e sono honduregno. A Regina Coeli mi chiamano tutti coccodè perché mi hanno beccato a Fiumicino con una pancia piena di ovuli che ho dovuto espellere in questura prima di finire in carcere. Quindici anni. Mica pochi. Era la seconda volta che facevo il trasportatore. Ad Amsterdam mi era andata bene. Lavoro abbastanza semplice e ben remunerato. Insomma, qualcuno, ne sono convinto, mi ha venduto per far passare un altro con più ovuli. Non si spiega altrimenti l’attenzione spasmodica nei miei confronti da parte della polizia. Sono qui a guardare Francia Honduras con i miei compagni di cella. Dico subito che ho un tifo amico. I francesi non sono ben visti a Roma e in Italia in genere. Almeno a livello calcistico. Tutti ricordano la testata di Zidane e Materazzi in questa sezione è, pur essendo interista, una sorta di eroe. Nella mia cella siamo in tre: io, er carota detto così perché quando si arrabbia arrossisce tutto e il vikingo, capelli lunghi, barba bionda e terribilmente tifoso della magica. Che sta per la Roma. Il problema più grosso in questa sezione è la discussione tra laziali e romanisti. Ci sono ortodossi che fischiano ad ogni palla che tocca Candreva. Anche il vikingo non lo ama molto ma quando ha fatto il cross e Balotelli ha segnato ha esultato e ha detto: “an vedi sti negri e sti burini”. Comunque hanno deciso di tifare Honduras. Anche un altro, nella cella a fianco ha affermato di tifare gli honduregni. Lui è interista, mal visto da queste parti, ma siccome è sardo e ha la foto della Canalis che ha avuto una storia con Vieri, tutti lo rispettano. E’ di Sassari e dice anche che è parente lontano della Canalis. Non so se sia vero, non so neppure dove sia Sassari. So solo che la Canalis, quella del calendario, è messa abbastanza bene e potrebbe giocarsela con chiunque. La partita è vaporosa, non c’è l’enfasi di Italia-Inghilterra e noi facciamo la figura degli agnelli sacrificali. Dobbiamo perdere per forza. Il vikingo ha in mano una cipolla e prepara la cena. “A coccodè” mi dice “me sa che oggi piagnete” e mi mostra la cipolla. Purtroppo non c’è bisogno di surrogati. Quelli, i francesi, hanno Benzema e si capisce subito che è la sua serata. Infatti: rigore, gol quasi gol e poi autogol e gol di forza, di prepotenza. 3-0 e addio Honduras. Poco tifo, poche occasioni, qualche pacca sulle spalle da parte di Er carota che è rimasto bianco latte per tutta la partita a differenza di quella con l’Italia che pareva una fiamma incandescente più che una carota. Ci sediamo a cenare in una cella di dieci metri quadri. C’è poco spazio e dobbiamo spostarci uno per volta. I mondiali però fanno trascorrere il tempo abbastanza velocemente. Il vikingo mentre addenta una mela dice: “Ahò, se stavo fori me vedevo l’Argentina che a casa c’ho Sky. Sti morti de fame der gabbio stanno ancora con la rai”. Io sorrido e penso a Messi. Il mio giocatore preferito: la pulce. Questo vorrei essere per fuggire da queste sbarre. “A coccodè”, dice er carota “me sa che ve ne ite a casa”. Sorrido mentre comincio a lavare i piatti. E’ il mio turno. “pensa che fortuna”, rispondo “loro ritornano a casa. Io qui, ancora per tredici anni”. Er carota non risponde. I mondiali, in fondo, sono solo una parentesi colorata dentro una galera. (traduzione a cura della redazione di Sardegna blogger) Pallone a sbarre. (Dal nostro inviato stabile nel carcere di Buocammino)
ITALIA – INGHILTERRA 2-1- Diario dei mondiali di calcio. Quarta puntata. Io l'ho detto subito che non sono sano. Ma quelli di sardegna blogger, che manco so cosa vuol dire, mi hanno detto scrivi, scrivi. E io devo raccontare di Italia Inghilterra dal carcere di Buoncammino. Siccome sono nato vicino allo stadio di Sant'Elia io di calcio ne capisco. Anche di scippi e droga. Tifo Cagliari, giusto per essere chiari con tutti i caghini che hanno un'altra squadra ma, quando gioca l'Italia non si discute. Infatti al sinistro tutti tifano Italia, anche quelli scoppiati parecchio tipo Antonello detto fiamma, perché si è bruciato la faccia con il fornellino e gigi lo storto che io l'ho sempre chiamato così perché mica è storto solo che gli vanno tutte storte le cose che fa ed è sempre in galera. Mica che a me mi vada meglio ma più fuori di lui sono stato. Insomma, vi parlo di questa partita che è già finita e tutti siamo contenti. All'inizio mica era così. Dico subito che gli inglesi mi stanno sulle p. (quelli del blogger mi hanno detto che non si scrivono parolacce e quindi per me è un casino, ma casino si può dire? Boh) perché io una volta sono finito anche in carcere a Londra per due etti di fumo. Posto di m. il carcere di Londra. Non è che puoi lavorare o fumare tranquillamente. Li lavori a gratis e le sigarette solo dieci al giorno, che manco in comunità. Dunque gli inglesi devono morire a prescindere. Minchiolino, quello si chiama così e non vi dico perché, prima di vedere la partita è andato dal dottore e gli ha detto che era più scoppiato del solito e vedeva cose strane e non poteva dormire e che voleva il tavor. Quello non so come gli ha dato una bella razione e alle undici era drommiu perdiu e gli abbiamo dato quattro schiaffi quando è cominciata la partita. Siamo in quattro in cella, io, minchiolino, antonello su nordista, che è di Olbia e quindi del nord, e Tonino pigadinni e anche questo non lo spiego sennò mica me lo pubblicano. Insomma tutti a tifare Italia e soprattutto Sirigu che noi lo chiamiamo siringa, perché ci ricorda i nostri bei tempi andati di eroina e coglionate ( e si può dire? boh). Insomma a me mi dispiace che non c'è Buffon ma Tonino mi dice subito ma pigadinni tu e Buffon che è uno scoppiato antico. Poi però lui tifa Inter e allora gli dico che di calcio non ne capisce niente e dimmi un nome di un interista in nazionale e mi dice nagatomo. Oh tonino, gli dico, ma pigadinni e cittudidda che non ne capisci di pallone. All'aria stamattina abbiamo deciso che al gol dell'Italia si devono sbattere le gavette ma poco, sennò ci fanno rapporto. Minchiolino, come sempre, da ragione a noi e a me che sono per anzianità il capo della cella e lui a volte mi fa anche il letto, ma solo perché è più bravo. Niente birra perché adesso in questa galera siamo diventati no vino, in inglese e non capisco cosa c'intrada sa birra ma solo fanta e coca cola. E vabbeh. Manco ci sistemiamo davanti alla televisione perché in cella anche se piccola ci sono sempre cose da fare, tipo lavare le pentole e pulire il cesso e scrivere alla pivella, che Marchisio ti tira un calcio che manco lui lo capisce e segna. Gavette a molla, urla e cori contro gli inglesi. Sentiamo anche il casino che fanno al destro e anche l'agente passando dice non fate troppo casino e si capisce che il troppo non è lo stesso troppo degli altri giorni. Poi manco finito il casino che quello scimpru di inglese prende e segna. Io, una cosa la voglio dire ma tra tanti italiani proprio l'argentino più cretino ci dovevamo portare ai mondiali? capisco se uno si porta a Maradona o a Messi e allora siamo messi bene, ma questo Paletta non vuole visto. La discussione dura molto, minchiolino lo difende ma lui ne capisce quanto il suo nome, tonino gli ha tirato una decina di pigadinni in su ..... mentre antonello su nordista parla solo di siringa Sirigu che è di vicino a casa sua e che è il migliore della partita. Dentro questa discussione ci siamo dimenticati di togliere il latte dal fornellino a gas e succede un casino. Fine del primo tempo e minchiolino si è torra dormito. Vicino alla nostra cella se la prendono con Ballottelli che adesso si sposa e quindi pensa ad altro. Minchiolino si sveglia e dice subito e mica cussu è caghineri. Insomma le sigarette riempiono la cella di fumo quando lui, Supermario prende una palla incredibile e la mette dentro. Le urla sono più forti e tutti ci abbracciamo. Mi che stiamo facendo una bella figura. Poi c'è stanchezza, molto umido e molto caldo. Questo dice il commentatore e noi sbuffando e fumando diciamo eh... per un mese anche in albergo siete. E noi, una basca che c'è dalla cinque del mattino, una cella che ci sembra l'amazzonia e che se strizziamo le lenzuola esce acqua per la pastasciutta. Gli ultimi dieci minuti sono molto silenziosi. c'è l'ispettore che passa ogni tre minuti e allora, e allora, e allora. Allora zitto ispettò che porti sfiga che ne abbiamo abbastanza. Quando fischia l'arbitro siamo tutti felici e ci beviamo una bella coca cola. Questa storia della birra non si capisce, scriveremo al direttore si ci autorizza almeno per l'Italia. Vi farò sapere. Minchiolino adesso gli è passato l'effetto del tavor e ha due occhi grandi come un gufo e non ha voglia di dormirsi. A me quelli di sardegna blogger mi hanno detto che mi fanno scrivere solo se vince l'Italia. Spero di diventare un grande scrittore allora. Alle tre del mattino tutto il carcere dorme. Io mi corico dopo l'ultima sigaretta e, mentre sto per dormire, Minchiolino mi guarda e mi dice: a te lo immagini se c'era anche Zola? Tonino si gira nel letto e gli risponde Oh minchiolino ma pigadinni in su c...... Insomma, le solite cose da galera. Noi, nella nostra cella siamo in nove. Quasi una squadra di calcio. E siamo tutti per l'Italia. Non ci siamo scelti, il destino ha lavorato per noi. C'era un algerino sino a ieri ma è stato scarcerato. Teneva per il Camerun ma ci aveva promesso di tifare Italia se fosse rimasto. la sua partita, almeno lui, l'ha vinta. Noi siamo qui, al caldo ad aspettare la mezzanotte. In carcere, per fortuna, si aspetta sempre qualcosa e si aspetta a volte per giorni, mesi, anni. Non solo la libertà anche un pacco dei familiari, una lettera, una visita, un sorriso. Mai un abbraccio. Il carcere è il sottosuolo della vita vera, quella reale, quella che si sposta velocemente. Credo che la giornata degli altri sarà più o meno normale, lavoro,figli, pranzo, qualcuno al mare, siesta, amici, bar e, solo a mezzanotte con una birra davanti si metteranno a guardare l'Italia. Qui, invece, qualche piano più sotto, l'attesa per la partita è l'unica cosa che ci proietta verso qualcosa di serio, di intenso. Ne parliamo da giorni. La cella dodici, per esempio, ha messo tutte le foto degli azzurri sui muri. Teoricamente non si può fare, solo teoricamente però. Come non si dovrebbero mettere quelle della Canalis o di Belen. Sopratutto adesso che in questo carcere il comandante è una donna. Ma non ha mai protestato. Quando passa guarda e non dice niente. Sono solo piccoli vezzi del sottosuolo. La cella sedici, invece è totalmente per la Spagna. Piena di spagnoli e qualche italiano scemo, da ieri sono in religioso silenzio. Contano ancora i gol presi dagli arancioni. Sono cose che fanno male. Nella nostra pittoresca sezione, la terza del primo piano, tutti hanno la loro squadra: russi, svizzeri, messicani, croati. Quelli che non c'è l'hanno solitamente si buttano sul Brasile e sull'Italia per paura. Paura di essere sfottuti, sia chiaro. In carcere una partita di calcio è un evento mediatico unico e irripetibile. Quando gioca l'Italia nessuno si muove, nessuno si taglia, nessuno tenta il suicidio, nessuno comincia una rissa. Semmai dopo. Subito dopo o molto dopo. Dipende da come è andata. In carcere, nel sottosuolo della vita, il pallone non è rotondo ma è la voce della libertà, un modo per poter urlare senza prendere rapporto quando la tua squadra segna, la possibilità di essere insieme, nel tifo anche con i poliziotti, anche se stanno lavorando e mantengono un certo comportamento quasi asettico. In carcere c'è sempre qualcuno che si allena alla partita anche da giorni. Un allenamento legato a nascondere le lattine di birra. Accumulare per qualche giorno per poi avere la possibilità di bercele tutte in una sera. È vietato. E lo sappiamo. Infatti, la paura è la perquisizione proprio il giorno della partita. Lo hanno fatto ieri alla quarta sezione, quella dei napoletani. Ma loro esagerano con il prepartita: erano due settimane che accumulavano e, più di qualcuno che se l'ha cantata, era proprio evidente che c'era troppa birra dalle loro parti. Noi, nella nostra cella siamo stati bravi, solo tre lattina a testa. La prima quando inizia la partita, la seconda all'intervallo e la terza per brindare. Brindare cosa? Magari si vince o si pareggia ma perdere non è contemplato. Nel sottosuolo perdiamo soltanto e non possiamo permetterci cose del genere. Se si perde è perché gli inglesi hanno rubato e la terza lattina c'è la beviamo per rabbia. Qualcuno dice che gli spagnoli sono terribilmente tristi e minacciano il suicidio. Non è vero. Hanno solo deciso di vincere tutte le altre. Come dice il mio compagno di cella Mario, detto il sordo, perché fa sempre finta di non sentire: "non dobbiamo mai pensare al fallimento di una rapina, ma dobbiamo riflettere su come fare bene la prossima". Il sordo di rapine ne ha fatte parecchie e qui, nel sottosuolo ci campa da una vita a riflettere. Io non so come va a finire questa partita. So però, per certo che nessuno nella nostra sezione tifa per l'Inghilterra. Squadra poco amata dalle nostre parti. L'ispettore sardo, all'aria stamattina ci ha salutati e ha sorriso. Lui, quando Zola segnò all'Inghilterra, a Wembley, nel 1997, era di servizio a Pianosa e quella partita se la ricorda ancora. Noi abbiamo restituito il sorriso e gli abbiamo detto che stanotte, a mezzanotte tutta l'Italia tiferà gli azzurri. Anche noi del sottosuolo. Aspettando un nuovo Capello e un piccolo grande Zola. Buona partita a tutti. |