Diario dei mondiali di calcio – quinta puntata.
Mi chiamo Pedro Celachè e sono honduregno. A Regina Coeli mi chiamano tutti coccodè perché mi hanno beccato a Fiumicino con una pancia piena di ovuli che ho dovuto espellere in questura prima di finire in carcere. Quindici anni. Mica pochi. Era la seconda volta che facevo il trasportatore. Ad Amsterdam mi era andata bene. Lavoro abbastanza semplice e ben remunerato. Insomma, qualcuno, ne sono convinto, mi ha venduto per far passare un altro con più ovuli. Non si spiega altrimenti l’attenzione spasmodica nei miei confronti da parte della polizia. Sono qui a guardare Francia Honduras con i miei compagni di cella. Dico subito che ho un tifo amico. I francesi non sono ben visti a Roma e in Italia in genere. Almeno a livello calcistico. Tutti ricordano la testata di Zidane e Materazzi in questa sezione è, pur essendo interista, una sorta di eroe. Nella mia cella siamo in tre: io, er carota detto così perché quando si arrabbia arrossisce tutto e il vikingo, capelli lunghi, barba bionda e terribilmente tifoso della magica. Che sta per la Roma. Il problema più grosso in questa sezione è la discussione tra laziali e romanisti. Ci sono ortodossi che fischiano ad ogni palla che tocca Candreva. Anche il vikingo non lo ama molto ma quando ha fatto il cross e Balotelli ha segnato ha esultato e ha detto: “an vedi sti negri e sti burini”. Comunque hanno deciso di tifare Honduras. Anche un altro, nella cella a fianco ha affermato di tifare gli honduregni. Lui è interista, mal visto da queste parti, ma siccome è sardo e ha la foto della Canalis che ha avuto una storia con Vieri, tutti lo rispettano. E’ di Sassari e dice anche che è parente lontano della Canalis. Non so se sia vero, non so neppure dove sia Sassari. So solo che la Canalis, quella del calendario, è messa abbastanza bene e potrebbe giocarsela con chiunque. La partita è vaporosa, non c’è l’enfasi di Italia-Inghilterra e noi facciamo la figura degli agnelli sacrificali. Dobbiamo perdere per forza. Il vikingo ha in mano una cipolla e prepara la cena. “A coccodè” mi dice “me sa che oggi piagnete” e mi mostra la cipolla. Purtroppo non c’è bisogno di surrogati. Quelli, i francesi, hanno Benzema e si capisce subito che è la sua serata. Infatti: rigore, gol quasi gol e poi autogol e gol di forza, di prepotenza. 3-0 e addio Honduras. Poco tifo, poche occasioni, qualche pacca sulle spalle da parte di Er carota che è rimasto bianco latte per tutta la partita a differenza di quella con l’Italia che pareva una fiamma incandescente più che una carota. Ci sediamo a cenare in una cella di dieci metri quadri. C’è poco spazio e dobbiamo spostarci uno per volta. I mondiali però fanno trascorrere il tempo abbastanza velocemente. Il vikingo mentre addenta una mela dice: “Ahò, se stavo fori me vedevo l’Argentina che a casa c’ho Sky. Sti morti de fame der gabbio stanno ancora con la rai”. Io sorrido e penso a Messi. Il mio giocatore preferito: la pulce. Questo vorrei essere per fuggire da queste sbarre. “A coccodè”, dice er carota “me sa che ve ne ite a casa”. Sorrido mentre comincio a lavare i piatti. E’ il mio turno. “pensa che fortuna”, rispondo “loro ritornano a casa. Io qui, ancora per tredici anni”. Er carota non risponde. I mondiali, in fondo, sono solo una parentesi colorata dentro una galera.
(traduzione a cura della redazione di Sardegna blogger)