Come possiamo dividere gli occhi e i polmoni, pretendere di sistemare le braccia, le mani, provare a usare due ceste per gli stessi piedi, le dita, le vene. Pensare che il sangue abbia un diverso pulsare a seconda dell’uomo che abbiamo davanti, credere che il cuore abbia altri disegni e le lacrime sostanze che non collimano con quelle degli altri. Essere convinti, terribilmente convinti, che ci siano bambini palestinesi, ebrei, cristiani, bambini che hanno sicuramente sguardi diversi davanti ad un mondo orribile, ma quegli sguardi meritano lo stesso rispetto. Quando riusciremo a comprendere passaggi davvero semplici e quasi lapalissiani: noi siamo nati in un certo luogo e in un certo modo solo per caso. Quel luogo, poi ci viene cucito addosso, ne respiriamo gli attimi ma non c’entra con la pelle, con la religione, con l’amore, con gli abbracci e, soprattutto, non c’entra con i bambini. Chi uccide i cuccioli recide il futuro. Lo dico da anni e lo urlo ancora più forte. Non si discute di pace buttando sul tavolo delle trattative sangue di ragazzini. Da nessuna parte e per nessun motivo. Non sopporto questo gioco poco infantile di scoprire chi è stato a lanciare il sasso per primo, di provare a lanciare la palla sul campo dell’avversario, sulla pessima credenza di poterla fare franca. Non possiamo continuare a macinare odio e bombardare i fantasmi colpendo i bambini, sequestrare ragazzi e massacrarli. Come possiamo, poi, ritornare a casa e dire che questa è la vita, che in fondo peggio per chi è nato dalla parte sbagliata e ha usato una barca per fuggire dall’orrore ed è morto senza neppure capire da che parte di quel mare potesse nascere il sole. Siamo noi che dividiamo gli occhi e le braccia e i polmoni. Siamo noi che disegniamo luoghi che non esistono che non servono alla vita, ma solo ed esclusivamente all’odio e alla morte. Non ci sono corpi che diventano eroi. Ci sono uomini che per la follia che ci contraddistingue non riusciranno mai a crescere. La colpa non è di quei bambini, ma la nostra. Siamo noi che non siamo cresciuti e non abbiamo compreso che non c’è nessuna differenza nelle pulsazioni del cuore degli altri.
CALCIO A SBARRE – Dal nostro inviato stabile a Sassari Bancali. Germania Algeria 2-1- (nona puntata)1/7/2014 Ma, a ve lo immaginate il casino da niente che è ne è uscito dalla mia cella e in quella vicino ieri sera? Per capirlo vi dico subito che noi in cella siamo in tre: io, Mariolino detto l’uomo ragno perché una volta era entrato in un appartamento di Li punti al terzo piano e lo avevano cassato. Lui, disperato si è attaccato all’edera del poggiolo ma soffriva di vertigini e ne lo hanno tirato i pompieri. Un’ora attaccato come l’uomo ragno. Poi, un algerino Mohamed, e siccome tutti si chiamano Mohamed noi lo chiamiamo Flika, come il loro presidente Buteflika. Flika sta facendo il ramadam una specie di sciopero della fame organizzato da tutti i musulmani, ma dura sino al tramonto e poi lui si mangia anche un toro crudo ma non maiale. Una religione un bè strana ma Flika è uno togo e noi non ci facciamo caso. Mamma, ieri mi ha portato i papassini e Flika non li ha mangiati perché è convinto che mamma li fa con lo strutto del maiale. Gia è poco fanatico. In ogni caso l’uomo ragno non ne ha lasciato neanche uno con la scusa che era nervoso perché tifava algeria. A lui, a dire il vero non gliene fregava niente degli algerini ma è un bè incazzato con i tedeschi perché una volta, a Sorso, stava rubando una polo di un tedesco e la sfiga ha voluto che quello era un emigrante sussinco e gli ha dato roba di sussa che ancora per andare al mare fa sempre il giro da Stintino. Insomma, nella nostra cella tutti a tifare Algeria e in quella a fianco, invece, tre tunisini incazzati che chiaramente tifano contro gli algerini. Adesso, dico io ma come fanno i tunisini a tifare Germania? Capisco i turchi ma questi. Quando è cominciata la partita è passato l’assistente e ci ha detto di non fare troppo casino e già ci siamo capiti. Boh bo, manco tifare si può adesso e comunque ci siamo stirrigati a letto a vedere la televisione perchè in questo nuovo carcere, non per dire, ma hanno appiccicato la tv al muro, di quelle piatte e sembra un quadro che per vederla devi per forza tirarti a letto. Per tutta la partita si tifava e si guardava Flika che si mangiava un bè di roba e allora io gli ho detto “ma, bello bè, questi calciatori a lo fanno il ramadam?” E flika mi ha risposto che c’è l’iman che gli ha fatto una fatwa che potevano mangiare basta che vincano. Io di questa religione non ci ho capito molto ma mi sto zitto perchè anche della mia non ho capito tutto. L’uomo ragno dopo i papassini è passato a mangiarsi un’anguria e si è sbrodolato la camicia e ha cominciato a frastimare che anche Flika che ha un’altra religione gli ha detto di smettere che il Dio è sempre quello. Sarà, ma ai poveri Dio non ci guarda mai ed infatti ecco che i tedeschi segnano e poi raddoppiano e gli algerini a casa con il gol della bandiera, ma in ritardo. I tunisini urlavano dalla felicità che quando l’assistente è passato gli ho detto “E allora, questo tifo?” e lui si è messo a ridere. Flika si è messo a pregare e noi abbiamo girato canale. E anche qualche altra cosa. “A vincere sono sempre quelli del nord, “ ha detto flika. E io guardandolo ho risposto: “Ma noi non eravamo a nord dell’Algeria?” E lui ha risposto “ma siete a Sud della Germania”. Ecco se rinasco voglio nascere in Norvegia e poi lo vediamo chi mi frega. I miei amici poi mi hanno detto che il carcere in Norvegia è anche più togo. “E in Algeria Flika, com’è il carcere? “Come quelli del Sud, incasinato” dice flika e questa volta ho capito tutto. Buon mondiale a tutti.
Diceva il grandissimo De André: “ Quando si muore si muore soli”. Ho sempre pensato che questa fosse una grandissima verità. Lo pensavo nei miei passaggi tardo adolescenziali, imbottito di Pavese ed Hemingway, lo penso ancora adesso perché è comunque una grande verità. Che necessita di un corollario: “Quando si decide di morire, di togliersi la vita, in quel momento si è terribilmente soli”. Perché, diciamocelo francamente: il suicidio è una scelta, per quanto assoluta, per quanto assurda, per quanto vigliacca, per quanto egoista è comunque una scelta; si recide con tutto e con tutti, si livella la storia, si appianano i ricordi, si decide, con un colpo, di spegnere la luce. Il suicidio è un fatto personale, un gioco tra se stessi, una lotta terribile tra lo sgomento che lasci agli altri, gli amici, i parenti e gli amori e la forza indicibile di essere, per un attimo, padrone della tua vita, di essere l’unico compositore che decide come si conclude la commedia. Morire, in fondo, non ha quasi mai un finale che ognuno di noi sceglie. Può essere melodrammatico, insignificante, eroico, casuale, sfortunato ma quasi mai siamo noi gli sceneggiatori. La nostra vita che, in qualche modo, disegniamo con un certo impegno, pennelliamo con i nostri sogni e le nostre contraddizioni, ha una fine che non scegliamo. E’ l’unico film di cui non conosciamo il finale. E quando arriva non lo possiamo neppure raccontare. Perché allora c’è sempre qualcuno che decide di finire, di concludere questa parentesi, questo passaggio? Cosa sa del dopo? Cosa sa del durante? Cosa passa in quegli attimi? Ci sono spiegazioni che provano a raccontarci medici, psicologici e letterari. Nessuno ha chiaramente una risposta. Quando ci si uccide si è terribilmente soli. Questo è il punto. In carcere, poi, questa scelta è ancora più drammatica, più misteriosa. Si decide così, senza lasciare nessuna traccia della propria scelta. Anzi, sono proprio quelli apparentemente più tranquilli a decidere il passaggio. Ricordo il mio primo impatto con il suicidio. Era il 1985. Un ragazzo fragile e con un sorriso opaco e sua moglie minuta e dolcissima. Aveva parlato con lei e si erano salutati. Al colloquio lui le aveva portato delle margherite raccolte nella diramazione di Campu perdu. Lei, quelle margherite le strinse lungo tutto il viaggio sulla Cantiello. Nessuno poteva immaginare che suo marito aveva deciso di uccidersi. Proprio quel giorno. Mentre lei viaggiava verso Porto Torres. Dopo le margherite. Ecco, ad ogni suicidio in carcere si riapre un’antica ferita e mi appaiono quelle braccia che stringono piccole margherite. Quando ci si abbraccia ci si sente sempre molto vicini, ma non si riesce a misurare il vero calore della vita.
Oggi, ve lo dico subito, non è cosa. Ieri si è ammazzato un detenuto, una brutta storia che erano almeno due anni a Buoncammino che non si ammazzava più nessuno. All’aria si è parlato solo di questo. Chi lo conosceva e chi non lo conosceva, chi lo aveva immaginato e chi già lo sapeva come poteva finire. Io ve lo dico subito: mica si può sapere come muore un uomo. perchè un detenuto è un uomo, perchè anche noi abbiamo il cuore a sinistra, come tutti gli altri, e abbiamo le lacrime e i nostri incazzi e, devo dire, ancora peggio, perchè quando non riesci a buttare fuori le lacrime perchè altrimenti ti prendono per un caghineri che in carcere è cosa di tutti i giorni a prendere per il culo, insomma quando non riesci a piangere che mica lo puoi fare davanti alla cella con i tuoi compagni o davanti a tua moglie ai colloqui, magari quando ci sono i ragazzini. Ma stiamo scherzando? E allora, quando non ce la fai più, perchè quelli sono i momenti brutti te ne vai al cesso e ti fai tutta la faccia a lacrime. Poi ti asciughi e tiri la catena ed esci con una faccia sorridente ma già si vede lontano forte che non è cosa. Insomma, questa storia del suicidio è molto brutta perchè tutti sono tristi: i poliziotti, gli educatori e noi. Noi un po’ di più e gli e lo diciamo all’assistente sociale che si è fatta vedere stamattina che erano due mesi che non passava: “O dottoressa, mi sembra che non vediamo da quando l’Italia aveva passato il turno.” E lei, preparata mi risponde: “Guardi che l’Italia il turno non l’ha passato”. E infatti, gli dico io, “a lo vede che ci ho ragione? Siamo dal 2006 che non ci vediamo. E’ girata e se n’è andata. Ha detto che non è giornata. Figuradinni allora a noi come può essere la giornata. Non ho molto altro da dire, oggi Antonio e Marcello sono zitti tutti il giorno buttati in branda, tra la basca e il vento che entra dalle sbarre. ieri ci siamo divertiti a vedere l’Olanda. Si tifava Messico a dire il vero, tranne Mario chiamato da tutti l’olandese sfatto, perchè ad Amsterdam si faceva anche le canne delle biciclette e mi che non sono poche. Anche tre anni di galera si è fatto in un carcere olandese. Ed è diventato arancione. Non nel senso religioso, ma nel senso che tifa i tulipani. Poi, dopo, ci hanno detto del suicidio e abbiamo spento al tv. Neanche la radio a sentire che il Costarica, quello che ha picchiato l’Italia ha passato il turno. prima di dormire ho pensato: Eh... magari vince il Costarica e così noi abbiamo perso con i campioni del mondo. la vita continua comunque, ho detto a tutti e tutti zitti. oggi a Buoncammino c’è molta tristezza. Ciao a tutti,
A cercarle le parole magari le trovo pure, ma con custa basca a Buoncammino non è cosa. Ci ho ho buttato fuori a Mariolino che era dormito da ieri sera, incazzato perdiu perchè l’italia ha perso e ne è uscita dai mondiali. “O Mariolì “ l’appo nau, “a me la finisci che quelli solo per quel giorno hanno fatto i soldi che noi manco tutto l’anno”. E quindi a me m’indimportada pagu della sconfitta degli italiani. E poi, a dire il vero, noi siamo sardi e il Cagliari ai mondiali non c’è. Solo Ibarbo che gioca con la colombia e Antonello su biu tifa la colombia. Antonello si chiama su biu perchè è il cugino di antonello su mortu, che l’hanno preso a Olbia con un pacco di roba e lui, scimpru, non mette a manetta davanti agli sbirri e corre e non vede un palo e si ci sfracellada tottu. L’hanno raccolto che manco il cane antidroga capiva quale era lui e quale era la coca. Tutto perso e questo già è dispiaciuto un pochettino. Comunque, stamattina a mente tiepida, perchè freddo in galera non ce n’è manco a bastone, ci siamo trovati io Antonino su biu, Mariolino e Francesco sbrindellato, fissato con le moto e con Valentino Rossi, uno che di calcio non ne capisce niente tanto che quando Mariolino poco poco incazzato ha detto che Prandelli ha fatto male a lasciare Pepito Rossi in italia, Francesco ha subito detto che era d’accordo che Valentino era meglio di Balottelli. Unu maccu totalmente imbreagu. A me Balottelli non mi è mai piaciuto, manco quando giocava nell’Inter e mi che sono cagliaritano di nascita e interista di adozione, quando una mia pivella si era innamorata di Bergomi e mi avevo fatto crescere i baffi come lui e mi ero anche comprato la maglia. Poi, una sera mi dice: A ci andiamo al sant’elia che domenica l’inter gioca con il Cagliari? E io amico di tutti gli sconvolts a le potevo dire che non potevo andare nei distinti dalla parte degli ospiti? E lei allora mi ha detto che se l’accompagnavo a tifare Inter me la dava. Mi sono messo un cappello in testa e occhiali scuri e lei ridendo che quasi pioveva e itta cintrana gli occhiali , e io non ti preoccupare e intanto seduti alla gradinata cominciavo la tecnica del polpo ma lei a dire che me la dava solo se l’Inter vinceva. E non vince il Cagliari? Insomma, la pivella non me l’ha data ma sono rimasto interista perché aveva perso con il Cagliari. Comunque, tornando alla partita, e che cosa dobbiamo dire? Parlare ne abbiamo parlato, in galera, tanto, le parole già si sprecano che sembriamo tutti scrittori di romanzi. Adesso tutti a dire del morso a Chiellini, tranne quelli anti juventini che ce ne sono sia al destro che al sinistro contenti perché chiellini già non è molto simpatico. Ed è vero. La cosa più incredibile della partita che sembravano fermi come gli uomini del calcio balilla che abbiamo nella sala socialità. Adesso siamo tutti più tranquilli perché non c’è più l’Italia e possiamo tifare quello che ci piace come io che tifo più Cagliari dell’Inter perché tanto la mia nuova pivella non ne capisce di calcio e fuorigioco, come immobile, cognome che ieri gli stava come un capotto di alta moda. Insomma, io tifo Argentina, Mariolino ha detto che tifa gli olandesi che magari arrivano ancora in finale a perderla torna, Antonello su biu tifa Ibarbo e la Colombia e Francesco ha detto che tifa Germania in onore di Schumacher che è amico di valentino rossi. Boh boh, il sole a Buoncammino a volte scalda troppo le teste. Già vi faccio sapere come continua. Sempre se quelli di sardegna blogger mi danno l’incarico a scrivere. Un filo sottile unisce orrore e normalità (a proposito del triplice omicidio a Motta Visconti)17/6/2014 ARTICOLO APPARSO SULLA PRIMA PAGINA DEL QUOTIDIANO “LA NUOVA SARDEGNA” 17 GIUGNO 2014 - © by Giampaolo Cassitta
Ci sarà pure una linea sottile che unisce tutto e tutto spiega. Ci deve pur essere da qualche parte perché si rischia di rimanere sgomenti dentro un vortice che sembra non finire più, inghiottiti dalle atrocità degli uomini. Solo un mese è trascorso dalla notizia tragica di Tempio, dove ancora tutto è da sedimentare e comprendere, dove una famiglia è stata uccisa, una comunità distrutta, un uomo in carcere in attesa di raggomitolare la propria coscienza. Adesso, in un paesino del milanese, un altro uomo, un altro “normale” ha ucciso la moglie di 38 anni e i suoi due figli: Giulia di cinque anni e Gabriele di 20 mesi. Dopo aver confessato ha dichiarato di volere il massimo della pena. Qualcuno sui social network ha subito commentato: “sarai accontentato”. Eppure due triplici omicidi (e non sono gli unici e non saranno, purtroppo gli ultimi) così apparentemente lontani non possono continuare a rimanere solo nelle pagine di cronaca sui giornali per poi sparire dopo qualche giorno. La comunità deve cominciare a cercarla quella linea sottile che è nascosta nel sottosuolo della propria esistenza. Perché questi sono i nostri prodotti. Nostri e di nessun altro. Non ci sono commistioni con altre culture, non ci sono follie religiose, non ci sono spiegazioni psichiatriche. Tutto questo nasce nella nostra “normalità”. Si è ucciso, probabilmente, per un’automobile e neppure di grosso calibro e valore, si è ucciso perché la donna, sua moglie, la sua compagna rappresentava un intralcio ad un suo futuro di libertà. Fateci caso: in entrambi i casi non c’è la ricerca del castigo, la paure folle di aver compiuto un gesto osceno. In entrambi i casi si assiste alla mancanza assoluta di emozioni: si va a scrutare, come attore non protagonista il luogo del delitto (nel caso di Tempio Pausania) oppure – ed è ancora più atroce – si rimuove totalmente il delitto andando a guardare, con amici in un bar, la partita dell’Italia, gioire dei gol, fare rientro a casa, in quella casa gonfia di sangue rappreso, parlare con la polizia urlando di aver scoperto l’orrendo delitto: il suo. Come un film, come un’orrenda commedia, come un fumetto. Non è cronaca dunque, non è solo cronaca. Non è neppure la trama di un giallo splatter. Questa – dobbiamo provare a dircelo, anche sottovoce – è la vita, la nostra vita. Loro, gli assassini (o presunti tali, posto che nel caso di Tempio Pausania i contorni sono ancora da disegnare) sono seduti sul nostro stesso tavolo e amano le nostre stesse cose, osservano nello stesso nostro modo un mondo che, a quanto pare, non ha gli stessi orizzonti. Dicono la mancanza di valori, eppure in quest’ultimo caso parliamo di un giovane ragazzo, padre attento e premuroso, senza nessun problema apparente che sgozza la moglie e soffoca i figli. Dicono la velocità dei tempi. Una volta il mondo era più riflessivo. Oggi, invece tutto va bruciato in giornata, per poi ricominciare. E’ la tragedia del benessere, dell’avere tutto e subito, del volere tutto e subito, dell’impossibilità di potersi accontentare perché non si è in grado di saper ascoltare il rumore della vita. Ci sarà pure una linea sottile che unisce l’inverosimile che possa, in qualche modo, far incontrare queste parallele apparentemente lontane e indecifrabili. E’ solo una questione legata ai tempi moderni? E’ solo qualcosa di “folle” che non ci appartiene? Quante volte abbiamo urlato e inveito contro l’altro, contro l’orco cattivo che giungeva da lontano, contro lo straniero? Ci sarà pure una linea sottile che unisce l’orrore e la vergogna e quella linea parte proprio da casa nostra, dal nostro orto, dalle nostre famiglie. Adesso sta solo, all’interno della sua ombra nera senza nessuna stratificazione, nera come la notte nera, nera come il buio in cui si è avvolto l’anima. Seduto su una panchina solitaria tra il nulla e il troppo si agita e prova a ripassare gli occhi di chi lo ha visto per l’ultima volta. Perché di questo si tratta: Yara ha visto, Giulia ha visto, Cristina ha visto, Gabriele ha visto e anche a Tempio Giovanni ha visto, Giulia ha visto, Pietro ha visto quel buio torbido avanzare, quei movimenti senza speranze. Lui lo sa, certo, di avere scelto la linea sbagliata, di aver oltrepassato il verosimile, il razionale. Lo sa e prova a disegnare confini inaspettati, prova con pasticciata calma a riannodare la ragione. Ma è solo, terribilmente solo in un buio senza ombre e senza nessuna speranza. Non ha compreso le curve della vita, non le ha sapute prendere e non è riuscito a scalare nessuna marcia. Tutto in fretta, tutto molto in fretta nella discesa verso l’orrore, verso un cunicolo nero senza sogni, nero senza lacrime, nero senza vita. Lui lo sa, lui che ha visto gli occhi degli altri spegnersi, l’ultimo bagliore di bambini e donne e uomini lo sa quanto costa il suo gesto, sa quanto è cattivo il suo muoversi. Lo sa ma non comprende, non riesce a ritornare sull’altra riva. Lui ha deciso di rimuovere gli occhi, di eliminare tutti i colori di un quadro e passare con il suo atroce pennello sulle tracce della vita. Nero come la notte nera, nero come un grembiule senza fiocco, nero come un inferno senza fuoco. Adesso sta solo, all’interno delle sue parole che non riesce a macinare, farina senza mulino, acqua senza fontana. Lui lo sa di essere il più piccolo e il più fragile ma non trova più la strada. E noi con questi volti muti aspettiamo di trovare il varco per cercare uno spiraglio di luce nel nero che non cova speranze.
Oggi in questa galera che sembra un deserto e quando penso a S.Sebastiano mi metto a piangere perchè conoscevo tutto anche i sorighi, abbiamo giocato una partita a calcetto nei passeggi. Sul cemento, che la bagassa loro se cadi finisci subito in infermeria. In ogni caso c’erano due squadre pronte a vincere a tutti i costi: La germania e il Portogallo. Io, Antonio lu tedesco, Mariolino millibrinchi, Francesco la tana e marcellino birretta eravamo la germania. I portoghesi erano invece tre stranieri che non ne conosco bene i nomi e li chiamiamo Alì, Alà e dalialà, Portez detto Cristoforo Colombo e un rumeno un bè fissato con Cristiano Ronaldo e, infatti l’abbiamo chiamato Lu setti. Abbiamo perso di brutto e Marcellino si è tirato a terra tutto incazzato. Non se ne voleva andare dall’aria. Ajò gli ho detto che devi cucinare e lavare i piatti che ti tocca e non fare come Inzaghi chi “candu lu sfiorani pari sempri murendi”. Io, poi ho detto a Cristoforo Colombo che stasera tifo Germania perchè a me i portoghesi mica mi piacciono. Ci siamo lasciati così. Ne abbiamo raccolto a birretta da terra e ci siamo messi in fila, tipo spogliatoio per tornarcene a casa. In cella. Stasera la partita è alle sei, giusto all’ora di sbobba. Perchè in galera, per chi non lo sapesse, è come l’ospedale dove ne hanno tolto il fegato a babbo: alle cinque e mezzo passa il carrello della cena e se ne vuoi bene se no ti arrangi. E noi ci arrangiamo. Cuciniamo per i fatti nostri. Oggi un bè di insalata così ci riempie la pancia e filetti di merluzzo fritti che Birretta li fa davvero un bè bene. Tra questo e le scommesse sulla partita ci siamo seduti. La squadra di calcetto non è la squadra della cella ma abbiamo chiesto la socialità e ce l’hanno data. Adesso ci ascoltano e ci fanno stare più larghi che rispetto a san sebastiano ci sembra di essere all’aeroporto e quasi ci perdiamo. A me i tedeschi mi fazini ischiffu, ma a calcio sono bravi e ho una mia teoria. Se vincono e passano il turno come primi e anche noi arriviamo primi poi, con loro, ci vediamo in semifinale e li castighiamo. Come nel 1970 e nel 2006. Solo che Antonio lu tedescu non li sopporta e lui si chiama così solo perchè è biondo e solo Mariolino millibrinchi mi da un po’ di ragione ma dice che sicuramente il Portogallo è più forte perché lo dice lu setti. “Ascò bello bè,”gli ho detto “mi chi un cristiano ronaldo non può giocare a la sola che non è Mandrake.” Mariolino sorride e dice: “e a te lo ricordi a Mandrake contro la Spagnola? Dezi a zero li ha fatto”. Tutti cominciano a ridere e gli diciamo di smetterla con la coca e le pasticche nascoste. Perché Mariolino è fatto così: tossico perso , si ciuccia le pastiglie davanti all’infermiere, ma solo un pò e poi le sputa e le fa asciugare alla finestra. Poi se ne mette insieme un cinque o sei e se le fa con la coca cola e dopo un pò si mette a letto e comincia a brincare che sembra una cavalletta. Ecco perchè lo chiamiamo millibrinchi. La partita comincia male. Rigore per la Germania e Mueller segna. “Cazzo Antò”, dice Birretta “ma chistu da quando c’era giggi riva continua a segnare”. “Mi che non è lo stesso mì, “ dico io e gli giro con uno schiaffo ai capelli e mi guarda male. Germania uno Portogallo zero. Sentiamo l’urlo di terrore di Lu setti dall’altra camera. Non gira dico io, la perdete. E girami li.... insomma ne buttano uno del Portogallo fuori e poi segna il due a zero la Germania. “Abà comincia la vendetta, “dice Birretta ma si capisce che lo dice così, giusto per parlare, così come in tribunale quando ci stavano condannando e sette anni. Lui si avvicina all’avvocato e dice e cosa facciamo avvocà? Ci prendiamo sette anni? E l’avvocato serio gli dice: “non ti preoccupare, ci vendichiamo in appello”. Nove anni ci hanno dato, la bagassa loro, in appello. Manco finito il pensiero che Mueller fa il tre a zero. Antonio comincia ad incazzarsi davvero: a me chistu Muller non mi piace molto. Alla fine del primo tempo passa l’assistente e ci dice se vogliamo andare alla sala socialità che c’è il televisore perché adesso hanno inventato questa cosa della socialità e che i detenuti devono stare bene. O appuntà, a casa nostra stiamo bene, a lo vuole capire? Birretta lava i piatti e noi ci fumiamo una sigaretta. La cosa che funziona in ogni carcere è la possibilità di fumare sempre e da tutte le parti. Ma secondo gli educatori questa cosa non dura che dobbiamo fare le cose come le fanno fuori. A me mica mi piace questa novità di fare gli educati. Il secondo tempo non ha molta storia e si capisce che i crucchi ne capiscono di calcio. Mi dispiace aver tifato la Germania ma sono davvero forti. Solo che non mi ricordo manco un nome tranne quello che solo a calcio poteva giocare e si chiama Kroos. Fanno subito il quattro a zero tripletta di Muller e tutti a casa. Io penso che ci troviamo in semifinale, Birretta dice che il portogallo già passa, Antonio risponde che a lui i tedeschi gli stanno sulle balle a prescindere e con noi perdono sempre, millibrinchi è stirrigato sul letto e russa alla grande. Adesso ci tocca il telegiornale e le cose della vita. Domani altra partita. Io ho deciso che dobbiamo giocare ai passeggi con quelli della cella sette e otto. Che sono sagome. magari con quelli vinciamo e ci portiamo a casa la stecca di ms. Che male non fa.
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