Una volta c’erano le assemblee. Ve le ricordate le assemblee? Non c’erano neppure i microfoni e occorreva alzare la voce. Nelle assemblee si fumava, c’era sempre una grande cappa di fumo e una densità di argomenti che ci teneva svegli. Qualcuno, a dire il vero, ne approfittava per pomiciare, visto che il privato era politico. Avevamo quasi tutti la barba, simbolo di un’appartenenza alla rivoluzione e tutti avevamo le idee chiare e giuste: le nostre. Non si poteva indossare una cravatta: era fascio. Si leggeva lotta continua, Doppiovù, Rinascita, Re nudo e il quotidiano dei lavoratori.
Sono passati gli anni, le assemblee si sono diradate, anche i comizi in piazza e il volantinaggio. Son comparse le televisioni private e i dibattiti, gli interventi sui giornali o nelle sedi dei partiti. Si affittavano dei piccoli pièd-a terre dove portare le compagne perché pomiciare in pubblico era qualunquista. Qualcuno portava i baffi e al posto della vecchia sciarpa spuntava una piccola cravatta variopinta. Mai regimental che faceva troppo destra. Avevamo molte idee e tutte confuse: un grande avvenire da costruire.
Sono passati altri anni, siamo diventati più realisti, abbiamo bevuto la svolta della Bolognina, abbiamo seguito la falce e martello che nel simbolo diventava sempre più piccola, è nato un albero, dalla quercia all’ulivo. Avevamo visi ben rasati e cravatte serie. Non troppo grosse. Era cafonal. Si leggeva l’unità la repubblica, micromega, Dylan Dog e Marquez. Anche Montalbano, ma non troppo. Si facevano le vacanze intelligenti e la compagna amata da una vita la si tradiva con una compagna kenyiota che faceva molto “sono conto la fame nel mondo”.
Poi sono arrivati altri mezzi di comunicazione. Il computer, l’agenda elettronica, il cellulare, lo smartphone, i social network, Facebook e Twitter, tutti insieme nel villaggio globale a raccontare che questa era la vera democrazia. Non si indossava più la cravatta. Si leggevano solo blog on-line, si giocava a tetris, si ascoltava la musica in mp3, l’amore era veloce e molto virtuale. Tutto girava intorno ad un semplice “mi piace”. Anche quando non ci piaceva, anche quando potevamo dire qualcosa, anche quando potevamo prendere la parola come nelle vecchie assemblee, mi piace, anche quando potevamo baciare una ragazza, mi piace, anche quando potevamo dire: vorrei dire che cioè, nella misura in cui,......mi piace.
E abbiamo votato le primarie, mi piace, le secondarie, mi piace, le grilline, mi piace, le quirinarie, mi piace, son saltate le coronarie, mi piace, ci siamo insultati, mi piace, annusati, mi piace, abbiamo sorriso con uno smile postato, mi piace, abbiamo urlato con una foto postata, mi piace, un post appare sempre due volte, mi piace. E abbiamo pianto. A casa. Da soli. Con un disco di Claudio Lolli. Un disco. In vinile. “Ho visto anche degli zingari felici”. E ci siamo guardati senza respirare quando sentiamo cantare quella frase killer che ci accompagna da lotta continua a Hello Kitty: “E’ vero che non ci capiamo, che non parliamo mai in due la stessa lingua.”Butto lo sguardo lontano dove un ragazzino palpeggia uno smart phone e mi chiedo: “dove abbiamo sbagliato?”
Sono passati gli anni, le assemblee si sono diradate, anche i comizi in piazza e il volantinaggio. Son comparse le televisioni private e i dibattiti, gli interventi sui giornali o nelle sedi dei partiti. Si affittavano dei piccoli pièd-a terre dove portare le compagne perché pomiciare in pubblico era qualunquista. Qualcuno portava i baffi e al posto della vecchia sciarpa spuntava una piccola cravatta variopinta. Mai regimental che faceva troppo destra. Avevamo molte idee e tutte confuse: un grande avvenire da costruire.
Sono passati altri anni, siamo diventati più realisti, abbiamo bevuto la svolta della Bolognina, abbiamo seguito la falce e martello che nel simbolo diventava sempre più piccola, è nato un albero, dalla quercia all’ulivo. Avevamo visi ben rasati e cravatte serie. Non troppo grosse. Era cafonal. Si leggeva l’unità la repubblica, micromega, Dylan Dog e Marquez. Anche Montalbano, ma non troppo. Si facevano le vacanze intelligenti e la compagna amata da una vita la si tradiva con una compagna kenyiota che faceva molto “sono conto la fame nel mondo”.
Poi sono arrivati altri mezzi di comunicazione. Il computer, l’agenda elettronica, il cellulare, lo smartphone, i social network, Facebook e Twitter, tutti insieme nel villaggio globale a raccontare che questa era la vera democrazia. Non si indossava più la cravatta. Si leggevano solo blog on-line, si giocava a tetris, si ascoltava la musica in mp3, l’amore era veloce e molto virtuale. Tutto girava intorno ad un semplice “mi piace”. Anche quando non ci piaceva, anche quando potevamo dire qualcosa, anche quando potevamo prendere la parola come nelle vecchie assemblee, mi piace, anche quando potevamo baciare una ragazza, mi piace, anche quando potevamo dire: vorrei dire che cioè, nella misura in cui,......mi piace.
E abbiamo votato le primarie, mi piace, le secondarie, mi piace, le grilline, mi piace, le quirinarie, mi piace, son saltate le coronarie, mi piace, ci siamo insultati, mi piace, annusati, mi piace, abbiamo sorriso con uno smile postato, mi piace, abbiamo urlato con una foto postata, mi piace, un post appare sempre due volte, mi piace. E abbiamo pianto. A casa. Da soli. Con un disco di Claudio Lolli. Un disco. In vinile. “Ho visto anche degli zingari felici”. E ci siamo guardati senza respirare quando sentiamo cantare quella frase killer che ci accompagna da lotta continua a Hello Kitty: “E’ vero che non ci capiamo, che non parliamo mai in due la stessa lingua.”Butto lo sguardo lontano dove un ragazzino palpeggia uno smart phone e mi chiedo: “dove abbiamo sbagliato?”