La schiuma ha sempre quella visione soffice che si coniuga con la vita. La schiuma genera spruzzi di un’acqua salata che modella gli scogli di un mare disposto tra due lingue di terra. Neanche troppo mare, a dire il vero. Neanche troppo aperto. L’Adriatico così si presenta a gli occhi di chi lo guarda senza troppa intensità. Un mare con un orizzonte segnato. Un lago coperto di acqua salata. Giuseppe ha inseguito l’onda, ha aspettato che diventasse schiuma, che avvolgesse gli scogli, che si ritraesse a mischiarsi con altra acqua che giungeva magari dall’Albania o dalla Grecia. Gocce che erano lacrime e che si sono fuse, mischiate nel silenzio dell’onda che avanza. Giuseppe Sopranzi , calzolaio, 73 anni con la vita appesa a poche opportunità. E’ arrivato sul mare a mischiare ricordi, volti da sovrapporre, sussulti nascosti dai boati della vita che continua a macinare. Nessuno si ferma. Nessuno si sofferma più. Come se non ci fosse il tempo. Giuseppe Sopranzi ha osservato con le lacrime nelle tasche sua sorella Annamaria Sopranzi, 68 anni e il marito Romeo Dionisi, 62anni, muratore. Li ha guardati ed erano come pane raffermo. In un garage di Civitanova Marche. Sul parabrezza della loro auto un solo biglietto: “Scusateci con tutti.” Perché questo siamo diventati: carnefici della nostra esistenza e non vittime delle conseguenze costruite da altri. Romeo e Annamaria hanno salutato così questo paese contrito, questo paese diviso, questo paese che non genera sogni, questo paese accartocciato nella tristezza, con pochi rigagnoli di speranza, questo paese che non registra neppure le tragedie. Giuseppe ha guardato con gli occhi di chi ha sperato sino all’ultimo, ma con la certezza che non si poteva continuare. In tre con cinquecento euro ma ne servivano almeno settecento euro da dedicare alla casa, ai debiti, alle tasse che bussano quotidianamente alla porta della nostra esistenza e la modificano, la rimodellano. Queste tragedie che sembrano melodrammi e nessuno riesce più a raccontare.
Nessuno.
Neppure Giuseppe che guarda il mare e che conta le onde. E le riconta. In quel moto perpetuo che disegna il mare. Anche un mare piccolo e apparentemente amico. Giuseppe Sopranzi si prende i suoi 73 anni ese li ricaccia in gola, li somma a quelli della sorella e di suo cognato, come si sommano i debiti e le opportunità . E conta. E li riconta. Quel rumore sordo che emette l’onda quando schiaffeggia lo scoglio. Quello è il rumore intenso che produce Giuseppe quando si lascia andare. A mischiarsi con quell’acqua, a salarsi l’anima, a raggiungere Annamaria e Romeo, a lasciarsi tutti i conti indietro. A cercare un silenzio che non ritorna, a gridare la propria dignità. Questa è la notizia di oggi.
Solo questa.
E non è la sola. Queste croci quotidiane che popolano la collina. Questo Spoon River che nessuno vuole guardare, questo grande cimitero che ci avvolge. Questi Giuseppe, questi Romeo e queste Annamaria che camminano sulle macerie di questo paese. Questo morire d’Italia è diverso dal morire in Italia o per l’Italia. Oggi non si muore in questo paese o per difendere questo paese. Si muore di questo paese, L’Italia è come una malattia che uccide quotidianamente, una malattia che mastica la vita dei cittadini, che intrappola tutto per colpa delle sue scelte,della sua ferocia, del suo cinismo, dei suoi giochi. Le onde calpestano i sogni e divorano gli scogli. Oramai abbiamo il futuro terribilmente levigato. E non possiamo raccontare di non farne parte. Di non essere protagonisti. Quella maledetta campana che non smette più disuonare punta anche alle nostre orecchie. Non possiamo non sentirla.
Nessuno.
Neppure Giuseppe che guarda il mare e che conta le onde. E le riconta. In quel moto perpetuo che disegna il mare. Anche un mare piccolo e apparentemente amico. Giuseppe Sopranzi si prende i suoi 73 anni ese li ricaccia in gola, li somma a quelli della sorella e di suo cognato, come si sommano i debiti e le opportunità . E conta. E li riconta. Quel rumore sordo che emette l’onda quando schiaffeggia lo scoglio. Quello è il rumore intenso che produce Giuseppe quando si lascia andare. A mischiarsi con quell’acqua, a salarsi l’anima, a raggiungere Annamaria e Romeo, a lasciarsi tutti i conti indietro. A cercare un silenzio che non ritorna, a gridare la propria dignità. Questa è la notizia di oggi.
Solo questa.
E non è la sola. Queste croci quotidiane che popolano la collina. Questo Spoon River che nessuno vuole guardare, questo grande cimitero che ci avvolge. Questi Giuseppe, questi Romeo e queste Annamaria che camminano sulle macerie di questo paese. Questo morire d’Italia è diverso dal morire in Italia o per l’Italia. Oggi non si muore in questo paese o per difendere questo paese. Si muore di questo paese, L’Italia è come una malattia che uccide quotidianamente, una malattia che mastica la vita dei cittadini, che intrappola tutto per colpa delle sue scelte,della sua ferocia, del suo cinismo, dei suoi giochi. Le onde calpestano i sogni e divorano gli scogli. Oramai abbiamo il futuro terribilmente levigato. E non possiamo raccontare di non farne parte. Di non essere protagonisti. Quella maledetta campana che non smette più disuonare punta anche alle nostre orecchie. Non possiamo non sentirla.