Si è sentito il rumore netto, un tintinnio lento di qualcosa che rotolava sempre più velocemente sino a raggiungere il tombino. Dong. Un rumore sordo, insignificante. Ma che fa male. Molto male. Quella che sembrava una grande moneta è scomparsa. Inghiottita dalle fogne e dall’onta che l’ha travolta. Quella che sembrava una moneta solo sino a qualche giorno prima era una medaglia. Medaglia d’oro. Vinta a dispetto di tutte le forze, al di la del bene e del male. Perché per vincere quella medaglia nei 50 Km. di marcia ci vuole bravura, certo, ma ci vuole anche coraggio e rabbia e follia.
Si è sentito il rumore netto anche se tutto è apparso visivo più che sonoro. Perché le lacrime, almeno così sembra, non fanno rumore. Ma le lacrime di un sognatore che ha distrutto tutto in un attimo hanno un fragore particolare, che muovono un oceano e che costringono alle parole di modellare periodi, pensieri, pagine. Di provare a capire. Di provare a comprendere perché un ragazzo che passeggiava sulle nuvole un bel giorno decide che tutto questo andava rimodulato, che non bastava la fama, la gloria, la pubblicità, la fidanzata bella e sublime pattinatrice, che non bastava questo orizzonte limpido, che occorreva, per qualche oscura ragione, abbassare la serranda alla vita.
Si è sentito il rumore netto del silenzio di tutti noi. Dello sbigottimento complessivo, del non riuscire a decifrare i passaggi e le scelte sbagliate di un campione che decide di cadere. Per sempre. E quando cadono gli Dei il rumore sulla terra calpesta gli animi e rende tutti più soli.
Alex Schwazer, marciatore italiano, dopo la medaglia di Pechino si era come svuotato. Succede. Può capitare. Capita a chi vince tutto e lo vince subito. Ci si svuota, si sgombra il campo e non si trovano nuovi obiettivi. Perché tutto è apparentemente raggiunto. Alex non sa che occorre camminare e marciare tutti i giorni dentro le intersecazioni e le curve della vita. Alex non ce la fa e prova con le medicine, con l’aiuto, con quelle cambiali che saranno mandate in protesto dopo la scadenza. Sa che è un debito difficile da saldare e che, prima o poi qualcuno gli presenta il conto. E’ un carabiniere e certe cose deve pur saperle. E le sa. “Ho sbagliato perché volevo tutto” ha detto. E sapeva anche questo. Che tutto non si può pretendere. E che occorrerebbe sapersi accontentare. Perché poi, lo sport regala gesti inconsueti che non appartengono alla vittoria ma alla vita: come il pettorale richiesto con amore dal vincitore della semifinale a Pistorius, quella semifinale che Pistorius perde ma che grazie a quel gesto diventa una vittoria sul mondo. Come le lacrime della Cagnotto e della Ferrari che sono fuori dal podio e si capisce che è difficile rialzarsi da quella polvere di centesimi dettati da arbitri insindacabili ma dediti all’errore, come tutti gli uomini.
Alex è un atleta finito. Ha chiuso. Lascerà anche l’arma dei Carabinieri. Proverà a fare l’uomo. Dovrà marciare in un deserto tutto in salita. Ma ce la farà. Mi auguro sia di fulgido esempio (come si direbbe tra i gloriosi carabinieri) per qualcun altro che ancora non ha capito che quando si sbaglia lo si ammette e ci si ritira.
Ciao Alex, che la nuova strada, per quanto ruvida, ti sia amica.