Ho letto con un certo interesse l’articolo apparso sulla Nuova Sardegna di oggi, a firma di Eugenia Tognotti, dal titolo inequivocabilmente intrigante: “In balìa dei rumori nell’isola del silenzio”. Tognotti rimpiange, soprattutto in questi giorni, la mancanza dei dolci e soavi rumori che erano il cantare dei grilli e il frinire delle cicale che hanno lasciato il posto al diluvio dei decibel, ai motorini a tutto gas, agli hi-fi a pieno volume, alle chiacchiere e al vociare scomposto. Insomma, il vecchio dilemma: le vacanze servono per riposare o per meditare? L’autrice si lamenta che manchi dentro quest’isola il silenzio e che il non rumore, l’assenza di perturbazioni sonore, debba essere un bene tutelato, una sorta di marchio di fabbrica dell’isola Sardegna. Sul rumore del silenzio ci ho scritto il mio primo libro che, liricamente, cammina dentro tutte le pause contemplative che regala il mare, e sono davvero tante. Ho, come dire, il diritto di replica o, comunque, posso aggiungere qualcosa. La discussione è importante e mi dispiace che nessuno l’abbia mai affrontata in maniera seria ed è legata, principalmente, a quello che dovrebbe essere (e non è) la vocazione di quest’isola, a quello che dovrebbe diventare (e non diventa) in un immediato futuro. C’è stata, negli anni 60, una rincorsa ad un turismo nuovo, patinato e il silenzio dei monti di Mola (quelli della Costa Smeralda) è stato plasmato da ruspe, camion che hanno modificato i luoghi e hanno inventato il luogo dei “ricchi” e all’interno di quel “non-luogo” hanno anche prodotto il silenzio irreale delle ville, delle barche a vela con alberi giganteschi ma senza motore. Da altre parti, invece, dopo le ville monofamiliari, hanno costruito discoteche, porti turistici per motoscafi e passeggiate chiassose e leggiadre dove la piccola borghesia (oggi scomparsa) poteva trascorrere le vacanze catapultandosi con ombrelloni e sdraio (e producendo quindi molto rumore) nelle libere spiagge del continente Sardegna. Si è assistito, ad un certo punto, al tentativo di fare incontrare questi strani mondi. Infatti (è memorabile e sociologicamente rilevante un documentario di Sciuscià) la piccola borghesia, chiassosa, casinara, con macchine fotografiche, bambini urlanti, patatine fritte, Lacoste nuove fiammanti, si adagiava davanti al silenzioso porto di Porto Cervo a guardare i ricchi che salutavano, in silenzio e che vestivano Lacoste sbiadite che faceva più snob. Tognotti ha scritto un bell’articolo che nei principi generali è assolutamente condivisibile. Si dimentica che, al di la della crisi imperante e dove il caro traghetti (che colpisce, guarda caso i vocianti della piccola borghesia) ha sfoltito le truppe camellate che raggiungevano con festante baldoria la Sardegna, il problema principale è che si ha un’idea di turismo completamente pasticciata e a volte non risponde alle richieste. L’isola del silenzio è un assioma poeticamente alto da sottoscrivere e condividere, ma il rumore del silenzio che impera in questi mesi è quello delle risposte dei politici che non arrivano e mi preoccupa molto di più il frastuono sordo dei caschi protettivi sbattuti con forza e disperazione sull’asfalto dagli operai dell’Alcoa. Mi preoccupa il silenzio delle fabbriche oggi divenute cattedrali abbandonate in un deserto che aspettava altro. Mi preoccupa il silenzio che è calato sulle richieste dei pastori e sull’aumento del prezzo del latte, mi preoccupa il silenzio di Cappellacci alle miriadi di risposte che con una certa insistenza i sardi chiedono da tempo. C’è un brutto silenzio da queste parti che non mi piace per niente e che i vacanzieri non riescono a riempire. Non ne faccio una questione di decibel. Penso sia possibile convivere con tutto. Con qualche settimana di musica alta e con villeggianti rumorosi e festanti. Con i ricchi silenziosi e con il loro mondo di plastica. Con i silenzi del Gennargentu e con le passeggiate verso Tiscali (visita che suggerisco alla Tognotti) possiamo convivere e ci aggiungo, campanilisticamente anche con il silenzio dell’Asinara che ho amato e che amo, ma non produce lo stesso antico silenzio di una volta. Oggi quel deserto di rumori è il risultato della distruzione dell’isola. Ci sono silenzi che non amo e sui quali dovremmo cominciare a discutere. Tognotti suggerisce un turismo tutto grilli e cicale. Piacerebbe anche a me. Se solo ce lo potessimo permettere. Le cicale sono rimaste e sono purtroppo rappresentate dai commercianti e dagli operatori turistici che cantano, ahinoi, meno di un’estate. Il problema, semmai sarà la gestione del silenzio che dopo ferragosto ci attanaglierà e che farà di quest’isola un cimitero di silenzi. E aspetteremo urlando nel silenzio la prossima stagione, senza costruire nessuna idea sul futuro.