l buon Putin, che è uomo di mondo (come direbbero Totò e Berlusconi) ha capito che allearsi con la chiesa ortodossa, una volta vituperata da lui stesso in qualità di capo della KGB, conviene. Perché l’ortodossia fa il lavoro sporco che lui chiaramente non può fare. Conscio di essere stato eletto in maniera decisamente non “cristallina” ha cercato alleanze tra chi intende ritornare nel buio e nell’ostracismo del medio-evo. Conservare quello che si conosce, d’altronde, è sempre molto rassicurante rispetto a navigare a vista nell’oceano del confronto e della democrazia che, vista da queste parti, quella russa qualche piccolo problema ce l’ha. Il buon Putin, che ha il sorriso contratto e falsamente costruito non poteva dire che quattro ragazze con il cappuccio colorato rappresentassero un pericolo per il paese. Non sarebbe stato credibile. Ha deciso, quindi, di giocare la partita in un altro modo (e, a proposito di partite, il grande giocatore di scacchi Garry Kasparov, pare sia stato malmenato dalla polizia perché manifestava a favore delle Pussy Riot e, successivamente, arrestato) mettendo il gioco la religione, il sacro, la profanazione. Quello che il potere non può e non riesce a fare lo demanda alla religione. Vecchia storia. E pericolosa. Questa vicenda, che riporta la Russia in pieno medio Evo, non è molto lontana dai tempi in cui viviamo. C’è sempre un tabù che non si può infrangere in quasi tutti i luoghi del mondo. Compreso il nostro. Guardavo qualche sera fa, il film documentario Videocrazy dove imperava il potere della televisione e dove, con quel potere si potevano costruire miti o distruggere uomini. Il potere, il palazzo, ha questo di terribile: ha paura del dissenso, ha paura di mostrare le rughe e allora usa il sacro per debellare “chi rema contro” e la cipria per nascondere le rughe. Tre ragazze sono state condannate per aver cantato una canzone contro un uomo di potere all’interno di una chiesa. Probabilmente la location non era tra le migliori e bene avrebbero fatto a cantarla all’esterno, in un parco. Ma non avrebbero sortito lo stesso effetto. Ci hanno insegnato, invece, che graffiando le pareti giuste il muro dell’arroganza crolla. Dovremmo cominciare ad imparare queste piccole lezioni sparse per il mondo e cominciare a cantare, con forza, il nostro dissenso. Il palazzo ha paura delle parole. Non a caso i potenti bruciano i libri e le biblioteche. Dovremmo tornare alla parola, non stancarci di denunciare allargando gli orizzonti e i nostri occhi troppo innamorati del cortile sotto casa dove, ormai, ci sono solo vecchie oche spaurite con tacco dodici. C'è una grande diferenza tra due anni di carcere per aver cantato contro il potere e dieci minuti di notorietà per aver partecipato all'isola dei famosi. Anche su questo dovremmo essere capaci di riflettere.