Una società designata a perdersi è fatale
Che si perda: una persona mai.
Pier Paolo Pasolini. Le ceneri di Gramsci
Vorrei partire da queste frasi e dal titolo del libro. Ci sta bene tutto oggi. In questi giorni dispari, come direbbe De Filippo, un altro grande vuoto che non siamo riusciti a colmare. In questi giorni gonfi di livore e di cattiveria dove il paese e, dunque, la società, fatalmente si perde. Ci siamo persi nella speranza che tutto potesse ricominciare, che tutto potesse, in qualche modo, essere riproposto. Ci siamo persi quando abbiamo creduto che quelli della Margherita potessero avere qualcosa in comune con gli ex comunisti. Ci siamo persi quando abbiamo abbassato la soglia dell’etica e della civiltà, pensando che il conflitto di interessi non fosse importante. Ci siamo persi quando abbiamo chiuso gli occhi ai vari Penati di turno, agli sprechi, al credere che tutto fosse lecito nell’agorà della politica. Ci siamo persi quando ci siamo fidati di primarie strombazzate come prova estrema di democrazia e trasparenza ed invece ci siamo ritrovati persone mai conosciute catapultate da Roma, per via di alcuni accordi tra socialisti da riesumare. Ci siamo persi perché abbiamo creduto che il Partito Democratico fosse abitato da persone serie, oneste e leali. Ci siamo persi – e diciamolo una buona volta – quando abbiamo deciso di non essere più comunisti. Questa è stata la nostra sconfitta: abbassare quotidianamente l’asticella del nostro orgoglio, dell’essere di sinistra, della bellezza di coltivare un sano senso di appartenenza. Di essere schierati. Perché ci dicevano che l’ideologia è morta, fa parte del passato, che i valori sono altri, che la “ggente” adesso ha i network, i blog, le discussioni globali e che saranno loro a cambiare il mondo. Con un cinguettio.
Ci siamo persi inseguendo valori che non erano nostri. E abbiamo perso. Il partito democratico non esiste più perché non è mai esistito. Era destino che si perdesse. Ma le persone rimangono. Io rimango. Io, figlio del novecento, delle radio libere, dei valori forti, dell’amore per gli ultimi, per quelli che hanno qualcosa da raccontare, io, con il mio senso dello Stato, io profondamente convinto che dobbiamo lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato, io che ho sempre lo sguardo al futuro dei figli e non al passato dei nonni. Io rimango. Resto e non mi perdo. E studio, continuo a studiare la storia, così come chiedeva di fare Antonio Gramsci. Perché la storia ci appartiene. Io sono figlio di quelle ceneri: di Gramsci e di Pasolini e ho sempre amato i giorni dispari. Sono più complicati, ma regalano più anticorpi. Non ho mai fatto parte del partito democratico non per snobismo intellettuale ma, più semplicemente, perché il partito democratico non ha mai fatto parte di me. Non era la mia società. Si capiva che era destinata a perdersi. Io, al massimo sono abituato a perdere dopo aver combattuto. Ma la bussola della morale, della lealtà e della passione non l’ho mai perduta. Una persona non si perde e può ricominciare.
Che si perda: una persona mai.
Pier Paolo Pasolini. Le ceneri di Gramsci
Vorrei partire da queste frasi e dal titolo del libro. Ci sta bene tutto oggi. In questi giorni dispari, come direbbe De Filippo, un altro grande vuoto che non siamo riusciti a colmare. In questi giorni gonfi di livore e di cattiveria dove il paese e, dunque, la società, fatalmente si perde. Ci siamo persi nella speranza che tutto potesse ricominciare, che tutto potesse, in qualche modo, essere riproposto. Ci siamo persi quando abbiamo creduto che quelli della Margherita potessero avere qualcosa in comune con gli ex comunisti. Ci siamo persi quando abbiamo abbassato la soglia dell’etica e della civiltà, pensando che il conflitto di interessi non fosse importante. Ci siamo persi quando abbiamo chiuso gli occhi ai vari Penati di turno, agli sprechi, al credere che tutto fosse lecito nell’agorà della politica. Ci siamo persi quando ci siamo fidati di primarie strombazzate come prova estrema di democrazia e trasparenza ed invece ci siamo ritrovati persone mai conosciute catapultate da Roma, per via di alcuni accordi tra socialisti da riesumare. Ci siamo persi perché abbiamo creduto che il Partito Democratico fosse abitato da persone serie, oneste e leali. Ci siamo persi – e diciamolo una buona volta – quando abbiamo deciso di non essere più comunisti. Questa è stata la nostra sconfitta: abbassare quotidianamente l’asticella del nostro orgoglio, dell’essere di sinistra, della bellezza di coltivare un sano senso di appartenenza. Di essere schierati. Perché ci dicevano che l’ideologia è morta, fa parte del passato, che i valori sono altri, che la “ggente” adesso ha i network, i blog, le discussioni globali e che saranno loro a cambiare il mondo. Con un cinguettio.
Ci siamo persi inseguendo valori che non erano nostri. E abbiamo perso. Il partito democratico non esiste più perché non è mai esistito. Era destino che si perdesse. Ma le persone rimangono. Io rimango. Io, figlio del novecento, delle radio libere, dei valori forti, dell’amore per gli ultimi, per quelli che hanno qualcosa da raccontare, io, con il mio senso dello Stato, io profondamente convinto che dobbiamo lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato, io che ho sempre lo sguardo al futuro dei figli e non al passato dei nonni. Io rimango. Resto e non mi perdo. E studio, continuo a studiare la storia, così come chiedeva di fare Antonio Gramsci. Perché la storia ci appartiene. Io sono figlio di quelle ceneri: di Gramsci e di Pasolini e ho sempre amato i giorni dispari. Sono più complicati, ma regalano più anticorpi. Non ho mai fatto parte del partito democratico non per snobismo intellettuale ma, più semplicemente, perché il partito democratico non ha mai fatto parte di me. Non era la mia società. Si capiva che era destinata a perdersi. Io, al massimo sono abituato a perdere dopo aver combattuto. Ma la bussola della morale, della lealtà e della passione non l’ho mai perduta. Una persona non si perde e può ricominciare.