Sono quasi convinto che Dio abbia una tavolozza in grado di dipingere la pelle di tutti. Anche perché ha interessi diversi dagli uomini Dio. Non divide, per esempio, il mondo tra bianchi e neri. O gialli, verdi. No. Lui mischia divinamente le tempere, riesce a pasticciare le anime, a mescolare i contorni di tutte le esistenze. Ha le idee chiare, Dio. Non metterebbe in carcere, per esempio, un signore che si batte per la libertà contro la supremazia di una razza, qualsiasi razza, non permetterebbe, nella maniera più assoluta che nessun uomo di nessun colore possa essere buttato in una cella, in un’isola deserta, per ventisette anni. Dio, questo, non lo farebbe. Lo lascerebbe agli uomini che, per sfortuna hanno le idee piuttosto confuse sulla libertà sugli spazi e sul tempo. E sulla dignità. E certi uomini sanno essere terribilmente stupidi, cattivi, insipidi, cinici, ciechi, tanto da confondere i colori con le passioni, le razze con le intelligenze, i pensieri con le apparenze, le convinzioni con le ottusità.
Io conosco il carcere. E conosco il peso di ventisette anni di galera. Ho la consapevolezza del tempo che non scorre e della vita che si consuma senza sforzi. Lo so perché ci ho lavorato e ci lavoro. Perché quel tempo non ha scansioni, non ha termine. So anche che un uomo condannato all’ergastolo ha davanti un lungo calendario dove l’anno non cambia mai, dove non c’è quel dicembre liberatorio, quel dicembre che ci porta alle soglie del nuovo anno, alla speranza. Mandela, per ventisette anni ha contato e ricontato gli attimi, ha rendicontato la sua vita, ha scandagliato le sue parole e le sue convinzioni. Per ventisette anni ha provato a costruire il suo futuro da dentro un carcere, dalla cella 466. Non cerco la retorica dei gesti. Sarebbe semplice. Non ricerco le grandi parole o i magnifici ricordi. Sarebbe logico. Lui, Mandela è stato uomo ed è stato tempo, tavolozza di colori, intensità di sensazioni. Lui, Mandela è stato uomo. Soprattutto. Ha ricercato l’unione dove stagnava l’odio, ha cercato il confronto dove esisteva il contrasto. Mandela ci ha ricodato che occorre una visione, una certezza, una possibilità. Per ventisette anni ha osservato il sole nascere e morire. Lo ha osservato da una cella. In carcere. Per ventisette anni ha capito che il colore del sole è sempre giallo. Anche se visto da dietro una grata. Per ventisette anni ha atteso, ha rimescolato, ha pasticciato il futuro. Un po’ come Dio che si è divertito a costruire un mondo a colori e li ha usati tutti. Ciao Mandela, e scusaci per molte cose, per non aver compreso, per non aver ascoltato, per esserci voltati, come sempre, da altri parti. Però tu c’eri e solo oggi, che non ci sei più, ne sentiamo terribilmente la mancanza. La terra ti accarezzi e il sole ti riscaldi. Noi, proveremo a ripartire. Dai tuoi ricordi, da quei ventisette anni e dalla tua consapevolezza di provarci, sempre, a qualsiasi età. Preferisco un ciao ad un addio definitivo perché così rimani, con quel tuo sorriso e con quelle tue bellissime camicie colorate, vicino al mio orizzonte. Dove non potrai mai scomparire.
Io conosco il carcere. E conosco il peso di ventisette anni di galera. Ho la consapevolezza del tempo che non scorre e della vita che si consuma senza sforzi. Lo so perché ci ho lavorato e ci lavoro. Perché quel tempo non ha scansioni, non ha termine. So anche che un uomo condannato all’ergastolo ha davanti un lungo calendario dove l’anno non cambia mai, dove non c’è quel dicembre liberatorio, quel dicembre che ci porta alle soglie del nuovo anno, alla speranza. Mandela, per ventisette anni ha contato e ricontato gli attimi, ha rendicontato la sua vita, ha scandagliato le sue parole e le sue convinzioni. Per ventisette anni ha provato a costruire il suo futuro da dentro un carcere, dalla cella 466. Non cerco la retorica dei gesti. Sarebbe semplice. Non ricerco le grandi parole o i magnifici ricordi. Sarebbe logico. Lui, Mandela è stato uomo ed è stato tempo, tavolozza di colori, intensità di sensazioni. Lui, Mandela è stato uomo. Soprattutto. Ha ricercato l’unione dove stagnava l’odio, ha cercato il confronto dove esisteva il contrasto. Mandela ci ha ricodato che occorre una visione, una certezza, una possibilità. Per ventisette anni ha osservato il sole nascere e morire. Lo ha osservato da una cella. In carcere. Per ventisette anni ha capito che il colore del sole è sempre giallo. Anche se visto da dietro una grata. Per ventisette anni ha atteso, ha rimescolato, ha pasticciato il futuro. Un po’ come Dio che si è divertito a costruire un mondo a colori e li ha usati tutti. Ciao Mandela, e scusaci per molte cose, per non aver compreso, per non aver ascoltato, per esserci voltati, come sempre, da altri parti. Però tu c’eri e solo oggi, che non ci sei più, ne sentiamo terribilmente la mancanza. La terra ti accarezzi e il sole ti riscaldi. Noi, proveremo a ripartire. Dai tuoi ricordi, da quei ventisette anni e dalla tua consapevolezza di provarci, sempre, a qualsiasi età. Preferisco un ciao ad un addio definitivo perché così rimani, con quel tuo sorriso e con quelle tue bellissime camicie colorate, vicino al mio orizzonte. Dove non potrai mai scomparire.